Gli Shuar sono una tribù indigena dell’Amazzonia dell’Ecuador e in parte del Perù. A causa della presenza di rame nei loro territori, la loro cultura e le loro foreste sono a rischio.
Un museo in Indonesia espone 10mila pezzi di plastica raccolti nelle acque locali
L’installazione, curata da un gruppo di attivisti, punta a sensibilizzare i visitatori e invitarli a smettere di utilizzare plastica monouso.
Un gruppo di attivisti indonesiani ha voluto lanciare un segnale inequivocabile riguardo alla quantità insostenibile di plastica contenuta negli oceani. Per farlo, ha creato un’installazione nella quale è possibile letteralmente immergersi e camminare in un corridoio formato da bottiglie, sacchetti e altri oggetti recuperati dalle acque locali.
L’installazione si trova a Gresik, nella provincia della Giava orientale, ed è curata dal gruppo ambientalista Ecological observation and wetlands conservation (Ecoton). Questa è composta da più di 10mila pezzi di plastica che sono stati raccolti dagli attivisti nei mari e nei fiumi indonesiani, tristemente noti gli alti livelli di inquinamento.
L’attrazione principale dell’insolito museo è una statua di Dewi Siri, la dea della prosperità nella cultura dell’isola, la cui gonna è costituita interamente da piccoli sacchetti di plastica monouso.
Secondo Reuters, a partire dalla sua inaugurazione lo scorso settembre l’installazione è stata visitata da circa 400 persone. La fondatrice di Ecoton, Prigi Arisandi, ha spiegato che l’obiettivo principale dell’iniziativa è proprio quello di sensibilizzare i visitatori e invitarli a smettere di utilizzare plastica monouso.
Oceani invasi dalla plastica
La plastica oggi è ovunque e, in assenza di azioni decisive, la sua presenza negli oceani è destinata a triplicare entro il 2040: ogni anno infatti vengono prodotte più di 380 milioni di tonnellate di plastica, e il dato è in costante crescita dal 1950.
Di questi, nel 2015 solo il 20 per cento è stato riciclato, mentre il 25 per cento era destinato all’incenerimento e più della metà – il 55 per cento – è stato semplicemente buttato, abbandonato, finendo inevitabilmente anche nelle acque.
Non esistono dati certi riguardo alla quantità di plastica che popola i nostri oceani, ma si stima che già nel 2015 questa potesse raggiungere e superare i 5mila miliardi di pezzi.
Inizialmente i rifiuti galleggiano in superficie. Con il passare del tempo, però, questi iniziano a sprofondare, e raggiungendo i fondali si trasformano in microplastiche che vengono ingerite dalla fauna locale, diventando quindi parte della catena alimentare.
L’Indonesia, con i suoi 54mila chilometri di coste, ogni anno rilascia in mare tra le 200 e le 500mila tonnellate di plastica – equivalenti a duemila aerei Boeing 747 – mettendo a rischio non soltanto i delicati ecosistemi locali ma anche le attività economiche che si basano sulla pesca e sul turismo.
A luglio 2020, per cercare di limitare il problema, l’amministrazione della capitale Giacarta ha vietato l’uso di sacchetti monouso, e con il Piano di azione nazionale il Paese si è impegnato a ridurre i rifiuti marini del 70 per cento tra il 2018 e il 2025. Il tempo stringe.
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