
Mentre nel Tigray, nel nord dell’Etiopia, si continua a combattere, diversi rapporti denunciano i crimini contro l’umanità commessi dai militari etiopi ed eritrei.
Nel giorno dello spostamento dell’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme, scoppia la rivolta palestinese. Almeno 58 uccisi dai soldati israeliani.
Almeno 58 palestinesi sono stati uccisi dai soldati israeliani nella striscia di Gaza e oltre 2.000 feriti. A riferire le cifre è il ministero della Salute della nazione araba, secondo il quale le vittime si erano riunite – assieme ad alcune migliaia di persone – nei pressi della frontiera difesa dai militari. I manifestanti hanno lanciato pietre verso i soldati, che hanno risposto sparando.
Le proteste erano ampiamente previste a Gaza, dal momento che nel pomeriggio di oggi è prevista l’inaugurazione della nuova ambasciata degli Stati Uniti a Israele, spostata simbolicamente da Tel Aviv a Gerusalemme. La città santa, nello scorso mese di dicembre, era stata infatti riconosciuta ufficialmente come capitale della nazione ebraica dal presidente Donald Trump. Al contempo, il miliardario americano aveva promesso il trasloco dell’ambasciata, mettendo così fine all’approccio diplomatico portato avanti dai suoi predecessori.
Sixteen Palestinians were killed during protests in Gaza, hours before the US was due to open its embassy in Jerusalem, the Palestinian Ministry of Health said. https://t.co/bW3Y9VCWn2 pic.twitter.com/iyYhAAjMdi
— CNN Breaking News (@cnnbrk) May 14, 2018
A poche ore di distanza, la tensione nei territori palestinesi era cresciuta alle stelle. Un reportage della radio francese France Info aveva riportato le preoccupazioni e la rabbia della popolazione: tra i musulmani, in molti affermavano di augurarsi una nuova Intifada, ovvero una “sollevazione popolare”, come già accaduto in occasione delle grandi rivolte del 1987 e del 2000.
Già oggi, le autorità israeliane affermano di attendersi decine di migliaia di palestinesi alle manifestazioni di protesta organizzate contro l’inaugurazione dell’ambasciata di Gerusalemme, non solo nella Striscia di Gaza ma anche in Cisgiordania. Sono d’altra parte numerose settimane che i palestinesi animano la “Marcia del ritorno”, movimento di protesta che dovrebbe culminare domani, il 15 maggio, giorno in cui ricorre la Nakba: la “catastrofe”, ovvero l’espulsione forzata e definitiva di migliaia di palestinesi al momento della creazione dello stato di Israele.
Per l’amministrazione americana, lo spostamento dell’ambasciata – alla cui cerimonia saranno presenti la figlia di Trump, Ivanka, e il marito Jared Kushner, ricco ereditiero ebreo ortodosso incaricato dalla Casa Bianca di risolvere la questione mediorientale – rappresenta un regalo a Israele in occasione dei 70 anni dalla creazione della nazione.
This happened too – pretty sure elites snipers know what and where they are targeting pic.twitter.com/faRx8GxcKd
— Hoda Abdel-Hamid (@HodaAH) 15 maggio 2018
Un riconoscimento che nessun presidente americano aveva concesso prima e che è stato celebrato con enfasi dal primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu: “Nella Bibbia Gerusalemme è citata 650 volte. Per tremila anni è stata la capitale del nostro popolo. E soltanto del nostro popolo. Abbiamo sognato di tornarvi ed è quello che sta accadendo oggi”.
La Lega araba ha reagito annunciando una riunione d’urgenza, che si terrà mercoledì, con l’obiettivo di discutere del trasferimento della diplomazia statunitense. Una decisione bollata come “illegale” dal vice presidente dell’organizzazione Said Abu Ali.
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