Tutti felici per l’Italia fuori dal carbone, o quasi

Felici, ma non troppo. Le reazioni e i commenti alla scelta dell’Italia di chiudere con il carbone – il combustibile fossile più sporco del mondo – entro il 2025. Insieme a un’alleanza guidata da Canada e Regno Unito.

L’Italia vuole smettere con il carbone. La notizia era già circolata nei mesi passati con l’annuncio della nuova strategia energetica nazionale (Sen), dove si ipotizzava una chiusura delle centrali elettriche al carbone entro il 2025. Ora però, con l’annuncio fatto a Bonn durante la ventitreesima conferenza sul clima (Cop 23) insieme a un’alleanza di quasi 20 Paesi, la promessa del governo italiano, per voce del ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti, si fa solenne. Sette anni e quasi quattro miliardi di euro per avviare il decommissioning delle centrali a carbone. Due numeri che danno misura dell’urgenza e della complessità dell’operazione. Ma che sono un passaggio importante per raggiungere gli obbiettivi nazionali annunciati con la ratifica dell’Accordo di Parigi. Se la transizione verrà gestita con lungimiranza.

“Con questa alleanza l’Italia procede per uscire fuori dal carbone entro il 2025”, ha dichiarato il ministro Galletti, presente all’evento. “Abbiamo costruito la Sen su obiettivi ambientali basati sull’Accordo di Parigi. Questo va nella direzione di ridurre le emissioni del 40 per cento, raggiungere una quota del 28 per cento di energie alternative sui consumi complessivi al 2030 rispetto al 17,5 per cento del 2015, raggiungendo per il solo consumo elettrico, sempre al 2030 il 55 per cento”.

Cosa cambierà nella strategia italiana?

La produzione nazionale dei circa 8 gigawatt a carbone incide per il 15 per cento sul totale, percentuale in riduzione per effetto di alcune chiusure accadute di recente e destinata ad ulteriori diminuzioni nei prossimi anni. Non una quota rilevante, ma nemmeno un contributo superfluo. https://www.youtube.com/watch?v=EPzfOMsuSXE Secondo il ministro l’annuncio internazionale serve a dare una risposta tutti quelli che si chiedevano che strategia energetica volesse l’Italia per il futuro post Accordo di Parigi. “Con il nostro annuncio diamo un’indicazione chiara del piano strategico industriale, che sta già attirando numerosi investitori dall’estero. Numerose imprese hanno dichiarato che investiranno in Italia”. Soddisfatto il Wwf. “Siamo francamente orgogliosi che il nostro Paese abbia co-promosso questa alleanza”, dichiara Mariagrazia Midulla, responsabile clima del Wwf Italia. “Ci aspettiamo che l’Italia si assicuri di avere tutte le carte in regola, dando immediatamente il via alle politiche e alle misure necessarie per mantenere il proprio impegno di chiudere con il carbone entro il 2025. Il nostro paese può diventare un buon esempio internazionale”. 

Per Mauro Albrizio, direttore dell’ufficio europeo di Legambiente, la decisione ha una grande scelta simbolica ma concretamente cambia poco nella lotta contro il cambiamento climatico. «Tutti i paesi dell’accordo sono nazioni dove il carbone è residuale: il cuore della strategia energetica si basa su nucleare (come la Francia e UK) o hanno il gas (come l’Italia). La SEN al 2025 ha l’obiettivo di produrre energia al 28% da fonti rinnovabili. Significa che la quota di energia che si libererà dal carbone verrà occupata dal Gas: il restante 72% rimane fossile. Stiamo parlando di uno “switching” al gas di quelli mai visti. Il vero segnale dell’Italia deve essere quello di grandi investimenti nelle rinnovabili e nel trasporto elettrico».

Le reazioni del mondo industriale italiano

L’accordo prende di sorpresa Andrea Clavarino, di Assocarboni, che apprende la notizia al telefono. “Quanti paesi? Venticinque? Una follia. Quella dell’Italia è una decisione inutile e costosa”. Le motivazioni per la lobby del carbone sono molteplici e prevedibili: “Nessun paese può fare un phase out di carbone e nucleare simultaneamente senza svenarsi. Questa decisione non cambierà le emissioni e ci renderà più dipendenti dal gas naturale”.

La soluzione per le ong ambientaliste, però, è un’altra, cioè accelerare la transizione verso le energie rinnovabili quanto prima. “Né carbone, né gas”, spiega Francesca Mingrone, portavoce a Bonn di Italian climate network, un’associazione specializzata nel monitoraggio degli accordi sul clima. Lo stop al carbone è dunque fondamentale soprattutto per la salute: “Ogni anno muoiono quasi un milione di persone in tutto il mondo per l’inquinamento diretto generato da miniere e centrali a carbone”, continua Mingrone.

Condivide gli obiettivi di massima anche Enel che conferma la necessità di un abbandono progressivo e ragionato del carbone. Del resto nei prossimi sette anni, cioè entro la data del 2025 fissata nella Sen, il governo dovrà lavorare con la compagnia elettrica italiana per chiudere le centrali operative di Civitavecchia, Brindisi, Fusina e Sulcis. Così come resta confermata la chiusura anticipata al 2021 della centrale di La Spezia (praticamente inutilizzata) e il via libera per la dismissione anticipata di Bastardo e della centrale di Genova.

Leggi anche: Quante centrali ci sono ancora in Italia e con quali conseguenze

Per i pugliesi resta aperta la questione Ilva. “Se non si dice addio al carbone nella più grande industria siderurgica d’Italia, proprio ora che sarà ristrutturata, cogliendo il doppio vantaggio economico e ambientale, la strada verso un’economia a zero emissioni in Puglia resterà un’incompiuta”, afferma il presidente della Regione, Michele Emiliano, ospite a Bonn del Forum internazionale. Insomma anche l’Ilva deve seguire il processo di transizione energetica o l’annuncio di Galletti non si tradurrà in fatti rendendo la strategia energetica nazionale priva di senso.

Ora tocca anche disinvestire nel carbone

La decisione influenzerà anche il mondo finanziario. Un rapporto realizzato da Unfriend coal (“togliamo l’amicizia al carbone”) presentato alla Cop 23 segnala come quindici tra le principali compagnie assicurative del pianeta nell’ultimo anno abbiano deciso di disinvestire dai progetti per l’estrazione del carbone per un importo pari a 20 miliardi di dollari. La fuga dal carbone, dunque, sembra appena cominciata.

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