
Coste rocciose a picco sul mare, calette impervie ma incontaminate, grotte da esplorare: l’Arcipelago delle Tremiti è un gioiello da non abbandonare.
Sull’omonima isola della Nigeria, fino al 27 novembre 35 fotografi ritraggono il volto inedito del continente africano e l’immaginario collettivo dei suoi popoli
Non solo lussureggianti panorami naturali, stupefacenti sfoggi di biodiversità, scenari di indigenza estrema, bambini sofferenti o animali esotici: oltrepassare questa iconografia stereotipata e riduttiva di un continente complesso ed eterogeneo come l’Africa è precisamente il fine perseguito dal LagosPhoto Festival.
Ideata nel 2010 e giunta quest’anno alla sua sesta edizione, la rassegna, che si svolge sull’omonima isola della Nigeria, esplorerà, fino al 27 Novembre, le atmosfere del territorio africano attraverso l’opera di 35 fotografi di provenienza internazionale (dalla Francia alla Nuova Zelanda, dal Congo all’India, dalla Costa d’Avorio al Marocco e oltre), incaricati di tradurre in immagini il volto inedito dell’Africa, al di là dei cliché derivanti dalla retorica post-coloniale o dai circuiti mediatici ufficiali.
Sollecitando il pubblico ad esercitare uno sguardo critico su quella che non esita a definire “la peggiore campagna marketing della storia”, la curatrice Cristina De Middel ha voluto imprimere all’esposizione di quest’anno la significativa etichetta di “Designing Futures”, intendendo la nozione di “design” nel duplice senso di struttura estetico-formale e di visione o progetto di vita futura.
Poiché infatti l’immagine è lo strumento attraverso il quale vengono negoziate le politiche della rappresentazione, ovvero il modo in cui viene configurata e veicolata l’identità di un popolo, il LagosPhoto Festival si ripropone appunto di riflettere, attraverso un fitto ciclo di mostre (sia al chiuso sia all’aperto), conferenze e workshops, nonché perfino un’esposizione a latere riservata ai dilettanti, su questi ritratti contrastanti e spesso ingannevoli che l’Africa ha ispirato attraverso i secoli.
E se il filone del fotogiornalismo ha ormai esaurito, secondo la De Middel, le proprie potenzialità, contribuendo talvolta ad alimentare equivoci e falsi miti, è ad altre forme espressive che bisogna affidare il racconto dell’Africa presente e futura, ricorrendo ai linguaggi della fiction, del fotomontaggio e dell’arte concettuale, come ad esempio avviene nel caso di Patrick Villoq, che immagina l’aspetto del Congo nel 2050, o nel lavoro di Fabrice Monteiro che, in collaborazione con lo stilista senegalese Jah Gal, nella serie “The Prophecy” (da cui è tratta anche la nostra foto di copertina), si interroga sulle le sorti future dell’Africa ritraendo soggetti mitici o spettrali creati ad hoc con l’ausilio di sculture di spazzatura.
Addentrandosi nelle categorie iconografiche del mondo africano, si svelano dunque le tante ibride commistioni con il pop occidentale, ovvero con stilemi tratti dal cinema, dalla pubblicità o dalla moda nostrane che penetrano nelle culture locali influenzandole profondamente, come attestano le immagini di Omar Victor Diop e Antoine Tempé, che in “(Re-)mixing Hollywood” rileggono in chiave africana alcune scene clou della cinematografia hollywoodiana ottenendo effetti di straniamento tanto godibili quanto rivelatori.
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