Elezioni in Libano, Hezbollah conferma la sua forza

Tra luci e ombre, le recenti elezioni in Libano segnano un momento fondamentale nella storia del paese. Era da quasi dieci anni che il parlamento non veniva rinnovato.

Dopo mesi di campagna elettorale, dodici ore di votazioni e più di 24 ore di attesa, il ministro degli Interni libanese Nouhad Machnouk, nella notte di lunedì, si è presentato davanti alle telecamere ufficializzando la lista dei candidati eletti e rinnovando un parlamento che era in carica dal 2009. 

Il primo dato da analizzare riguarda l’affluenza. Solo il 49,2 per cento degli aventi diritto si è recato alle urne. Una percentuale che non è solo cinque punti percentuali in meno rispetto alle precedenti elezioni, ma è soprattutto una doccia fredda trasversale per tutti i partiti del piccolo paese levantino. Una legge elettorale complicata, programmi poco convincenti o poco chiari, disaffezione per l’eterna classe politica libanese che spesso si trasmette familiarmente di padre in figlio: le ragioni del dato toccano un po’ tutti questi argomenti. Se però da una parte la bassa affluenza boccia il sistema, dall’altra, paradossalmente – per via della legge elettorale – colpisce maggiormente le liste indipendenti e la società civile che in queste elezioni si era presentata come alternativa reale. 

Nonostante la sconfitta generale nella partecipazione, la votazione lascia però diversi elementi di riflessione. La peculiarità libanese della distribuzione dei seggi parlamentari su base confessionale non permette che ci sia un vincitore nel vero senso della parola. La struttura dell’Assemblea nazionale, il parlamento, e quindi indirettamente anche della democrazia libanese, prevede un sistema che si basi sull’accordo e non sulla maggioranza. I risultati di oggi e i seggi conquistati sono solo un passo nelle discussioni sul futuro istituzionale e legislativo del paese. 

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Le elezioni libanesi sono state un momento di prova per la tenuta democratica del paese © Davide Lemmi

Elezioni in Libano, i risultati

Nel quadro dell’alleanza 8 marzo, suddivisione sempre più debole del parlamento libanese tra chi era a favore della Siria e chi invece contrastava l’intervento siriano in Libano, l’asse sciita Hezbollah-Amal ha confermato la sua forza al sud e nella maggior parte delle circoscrizioni dove storicamente ha sempre conseguito risultati. Piccola nota, nella Bekaa e a Jounieh i due partiti hanno perso due possibili seggi a sfavore delle Forze libanesi e dei falangisti di Kataeb. Hezbollah ha guadagnato in tutto 14 sedie in parlamento, mentre Amal 15, in totale tre in più rispetto alla tornata del 2009. Per completare il quadro, il movimento Marada ha confermato i tre seggi del 2009, così come il Movimento patriottico libero, partito fondato dal presidente Aoun e guidato dal genero, nonché ministro degli Esteri, Gebran Bassil ha guadagnato gli stessi 20 della scorsa tornata, 28 considerando il partito Tashnag. In aggiunta ci sono poi i dieci eletti esterni ma affini ad Hezbollah e Amal. 

Dall’altro lato dell’Assemblea nazionale, chiamato alleanza 14 marzo, si registra il tracollo del movimento Futuro del premier Saad Hariri. Nonostante il partito sunnita abbia resistito a Tripoli e confermato il predominio nelle zone della circoscrizione di Beirut ovest, ha perso ben otto seggi, raggiungendo quota 21 in parlamento. Le cause del tracollo vanno dalla frammentazione dell’universo politico sunnita – quattro poltrone gli sono state sottratte dal miliardario ex Premier Najib Mikati – alla vicenda Ryad, quando Hariri a novembre 2017 soggiornò, secondo molti tenuto in ostaggio, in Arabia Saudita per diversi giorni rassegnando le dimissioni e accusando Hezbollah di voler attentare alla sua vita. Ma la vera sorpresa delle elezioni sono le Forze libanesi, il movimento nazionalista di destra guidato da Samir Geagea che ha incrementato di sei seggi la sua presenza nell’Assemblea nazionale, passando da otto poltrone a 14. Infine anche il Partito socialista progressista di Walid Jumblatt ha guadagnato due posti in parlamento, raggiungendo quota nove.

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La vera sorpresa delle elezioni sono le Forze libanesi, il movimento nazionalista di destra guidato da Samir Geagea che ha incrementato di 6 seggi la sua presenza nell’Assemblea nazionale © Davide Lemmi

Sono molti gli spunti su cui riflettere

Ma al di là dei numeri, le elezioni libanesi sono state un momento di prova per la tenuta democratica del paese. Lo svolgimento della tornata elettorale è stato giudicato in modo positivo, anche se macchiato da singoli casi di tensione nella Bekaa e nello Chouf, da parte degli osservatori internazionali – tra cui Elena Valenciano, capo missione Ue. Il post elezioni ha invece avuto momenti di difficoltà nel conteggio. Nouhad Machnouk ha tenuto a precisare che la lentezza è stata dovuta al nuovo sistema elettorale. L’unica nota di protesta, che ha avuto come protagonista la scrittrice e candidata Joumana Haddad, è avvenuta lunedì pomeriggio all’esterno del ministero degli Interni. Dopo i festeggiamenti di domenica sera, quando sembrava certa la sua elezione, lunedì mattina il nome della scrittrice non compariva tra quello dei vincitori. Joumana Haddad ha chiesto un riconteggio delle schede per evitare qualsiasi tipo di ombra sulla nomina di Antoine Pano, come lei candidato nella lista delle minoranze. 

Senza l’Haddad, la lista civile indipendente è composta dalla sola Paulette Yaghobian, viso della televisione Futuro, mentre il totale delle donne in parlamento è di sole sei presenze. Più delle due elette alle elezioni 2009, ma lontane dalla giusta rappresentanza. Nonostante le bocciature, la vittoria dei partiti tradizionali e i cognomi eletti, spesso gli stessi, ci sono degli interessanti germogli da osservare anche in ambito futuro. La società civile è riuscita finalmente a presentarsi alle elezioni con un programma condiviso, sintomo di un Libano che ha delle priorità in politica interna. La nuova legge elettorale, per quanto complicata, ha avuto il merito di proporre liste più eterogenee, spostando così la lente dal confessionalismo all’idea politica. Infine le elezioni hanno avuto luogo, nonostante i quattro anni di ritardo; il Libano è riuscito ad organizzare una tornata elettorale che si è svolta con una relativa tranquillità.

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La società civile è riuscita finalmente a presentarsi alle elezioni con un programma condiviso, sintomo di un Libano che ha delle priorità in politica interna © Davide Lemmi

Quale futuro per il Libano?

Il futuro è in mano al nuovo parlamento e alla capacità degli eletti di trovare compromessi. Ci sono le questione interne a cui rispondere per non alimentare le stesse radici che hanno generato il 49,2 per cento di affluenza. Tra questi motivi i problemi reali spiccano. Il Libano è un paese che applica un blocco dell’elettricità di tre ore al giorno, il cui sistema di gestione dei rifiuti crea numerosi problemi di salute, con una disoccupazione giovanile che tocca il 22,2 per cento e il cui debito nazionale è al 148 per cento del Pil. La nuova Assemblea nazionale si trova di fronte ad una sfida fondamentale, quella di far ripartire l’economia della nazione ancora impantanata dopo il crollo del 2010. Una delle domande a cui dovrà rispondere il parlamento per generare consensi e riattivare la rinascita risiede nella lotta alla corruzione: il Libano si trova attualmente al 143° posto tra i paesi più estranei a questa pratica. 

All’esterno, la posizione del piccolo paese levantino è ancora fondamentale per le logiche della regione. La nuova Assemblea nazionale affronterà la costante pressione di Israele a sud, la mai conclusa emergenza profughi siriani e la necessità di dover bilanciare le numerose forze straniere, Iran e Arabia Saudita su tutti, che lavorano in Libano. Il tutto dovrà avvenire senza perdere una direzione nazionale che rischierebbe di minare le fondamenta del paese e che avrebbe ripercussione inevitabili sull’intera area, già sotto sforzo per l’infinita guerra in Siria e le tensioni nel Golfo Persico. 

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