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Lo ha scoperto un nuovo studio svedese. I singoli consumatori risparmierebbero fino al 40 per cento di emissioni con scelte più consapevoli sul cibo, sulla casa e sulle vacanze.
Cosa si può fare nel proprio piccolo per ridurre le emissioni? È una delle domande che ci si pone più spesso quando si parla di crisi climatica. La risposta sembrerebbe arrivare da un nuovo studio svedese che ha scoperto che i singoli consumatori possono risparmiare fino al 40 per cento di gas ad effetto serra semplicemente facendo scelte più consapevoli quando decidono cosa mangiare, cosa comprare per la casa e dove trascorrere le vacanze. È stato anche scoperto che, a parità di spese, le donne emettono meno degli uomini.
Lo studio è stato condotto dalla compagnia di ricerca Ecoloop, guidata da Annika Carlsson Kanyama, Jonas Nässén e René Benders e pubblicato sulla rivista Journal for industrial ecology. Lo scopo era dimostrare come ridurre le emissioni di gas a effetto serra generate dai consumi delle singole abitazioni e quantificare le opportunità di mitigazione con alternative già presenti sul mercato, ma non ancora popolari. L’obiettivo era proprio quello di attribuire le emissioni direttamente ai consumatori e non ai produttori, analizzando cosa viene acquistato dalla popolazione e poi tracciandone le emissioni fino alle origini.
I ricercatori hanno usato la Svezia come caso studio e tre campioni: un uomo single medio, una donna single media e una persona svedese media. Hanno poi scelto tre settori: il cibo, le vacanze e l’arredamento. Per mitigarne le emissioni, sono state proposte alternative a base vegetale, verdure coltivate localmente, oggetti di seconda mano o riparati, spostamenti con il treno o staycation, ossia vacanze fatte entro un certo chilometraggio dalla propria abitazione. Le alternative analizzate non richiedono investimenti aggiuntivi, a differenza di altre soluzioni, come acquistare una macchina elettrica o di installare pannelli solari, che necessitano di maggiori disponibilità finanziarie. “I nostri esempi sono semplici da seguire anche da un punto di vista economico”, si legge nello studio.
I risultati dimostrano infatti che il totale delle emissioni può essere abbassato del 36-38 per cento passando a soluzioni meno impattanti, senza cambiare il totale speso.
I ricercatori hanno dimostrato che le scelte che vengono fatte quando si sceglie una vacanza sono quelle che determinano la quantità maggiore di emissioni. Per questo state analizzate varie tipologie di vacanze più sostenibili, tra cui dei tour in treno (che comprendevano sia l’alloggio sia gli spostamenti) o le staycation. Questo termine si riferisce alle vacanze fatte entro un certo chilometraggio dalla propria abitazione, durante le quali si partecipa a concerti e ad attività all’aperto.
L’analisi ha evidenziato come scegliere queste due alternative permettesse di risparmiare fino a dieci volte le emissioni prodotte da un viaggio in aereo e sei volte quelle di un viaggio in auto.
Le analisi riportate dai ricercatori poi non lasciano dubbi: la carne e i latticini generano emissioni nettamente più alte delle loro alternative a base vegetale e sostituirli con queste ultime permette di risparmiare tra il 32 e il 38 per cento delle emissioni. La carne di agnello inquina venticinque volte più del tofu, mentre quella di maiale cinque. Il latte di mucca inquina cinque volte di più del latte di avena e il formaggio tradizionale quattro volte di più di quello vegetale. I prezzi dei prodotti alternativi alla carne e ai latticini potrebbero essere sia più alti che più bassi dei loro corrispettivi, ma dipende sempre dalla qualità di quelli che vanno a sostituire.
Anche prestare attenzione alla provenienza delle verdure può comunque fare la differenza. Ad esempio, la lattuga che si trova nei supermercati inquina fino a dodici volte in più di quella coltivata localmente. Tuttavia, le emissioni di questi alimenti sono già di per sé basse, quindi secondo i ricercatori è l’acquisto di prodotti vegetali a far diminuire maggiormente il totale.
Per quanto riguarda i prodotti della casa, la ricerca ha dimostrato che quelli di seconda mano hanno in assoluto le emissioni più basse di tutte le altre alternative. In più, per alcune categorie, sono anche più economici. È il caso dei vestiti, ad esempio, i cui prezzi diminuiscono fino al 90 per cento.
Per il mobilio, i ricercatori hanno supposto che la stessa cifra venisse spesa per comprare lo stesso numero di prodotti, acquistati però di seconda mano o riparati. Il totale delle emissioni è sceso del 51-72 per cento.
Oltre ad aver provato l’efficacia delle strategie di mitigazione, la ricerca ha anche scoperto che generalmente le donne emettono meno degli uomini. Questo scostamento non è da ricondursi ad una differenza di spesa, quanto di abitudini. Gli uomini tendono a spendere poco più delle donne (circa il 2 per cento), ma emettono il 16 per cento di gas ad effetto serra in più. Questo dipende da molti fattori: le donne spendono meno su prodotti e servizi che non emettono molto, mentre gli uomini spendono almeno il 70 per cento in più per prodotti e servizi con un impatto maggiore, come la benzina.
“È un classico: le donne spendono di più per arredare la casa, per la propria salute e per i vestiti, mentre gli uomini per le auto, per la benzina, per mangiare, bere o fumare”, ha spiegato al Guardian Annika Carlsson Kanyama, autrice dello studio. La ricercatrice si è anche detta sorpresa che non ci fossero più analisi sulle differenze dell’impronta climatica dei due sessi dato che le donne risultano essere tra i soggetti che contribuiscono meno alla crisi climatica, ma che allo stesso tempo ne soffrono di più le conseguenze. I risultati di questo studio, quindi, non dimostrano solo quanto le scelte dei consumatori possano davvero fare la differenza. Ma aprono anche un dibattito necessario sui legami tra la parità dei sessi e la protezione dell’ambiente.
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