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Luca Morari, AD di Divita (Ricola), commenta con noi i dati dell’ultimo Osservatorio nazionale sullo stile di vita sostenibile.
La sostenibilità, per alcune imprese, è molto più che un trend relativamente recente. Lo sa benissimo Luca Morari, amministratore delegato di Divita (Ricola), per cui l’attenzione all’ambiente – dentro e fuori dall’azienda – è una vera e propria filosofia di vita, oltre che di business, che affonda le radici addirittura negli anni ’30 del secolo scorso. Abbiamo voluto commentare con lui i risultati dell’ultimo Osservatorio nazionale sullo stile di vita sostenibile, presentato lo scorso 22 marzo. Ecco cosa ci ha raccontato.
Ricola da oltre 10 anni è partner di LifeGate in tante attività e ne ha sempre condiviso i valori di sostenibilità sociale e ambientale. Luca dalla tua esperienza, come è cambiato il mercato negli ultimi 10 anni verso questi temi?
E cambiato tantissimo. Noi agiamo in un mercato, quello della confectionery, che fino a poco tempo fa non sapeva neanche cosa fosse la sostenibilità. Anzi, la scelta di avere un certo tipo di controllo sulla filiera, e coltivare le materie prime in ottica green, di utilizzare solo ingredienti biologici e di produrre in modo sostenibile ed etico era considerata un po’ snob. Oggi invece questa è una richiesta specifica che ci arriva da gran parte dei nostri consumatori, come del resto emerge dall’ultimo Osservatorio di LifeGate.
Oggi si parla di green society e green economy. Tu cosa ne pensi? Ritieni che questo nuovo tipo di economia sostenibile possa offrire nuove opportunità per il futuro del nostro Paese?
Certo, direi che per l’Italia è una grandissima opportunità! Noi abbiamo avuto un boom economico negli anni ‘70 che si è basato sulla competitività delle nostre merci e dei nostri servizi. Poi col tempo siamo stati scavalcati e in particolare, dopo la caduta del muro di Berlino e con l’avvento e la diffusione di Internet, che ha facilitato gli scambi tra i 5 continenti, si è verificata una caduta drammatica, che ci ha portati alla crisi. Di fatto, penso che produrre, pensare e consumare “verde” voglia dire prima di tutto, a livello etico, fare del bene a se stessi e alla propria comunità, ma anche permettere a Paesi come il nostro, che sono ormai “maturi” per un cambio di rotta, di tornare a essere finalmente competitivi. Penso che per il nostro Paese, la green economy sia una scelta dovuta e sia anzi la via da seguire per uscire dalla nostra crisi. Facciamo un esempio, parliamo di energia: mi fa sempre sorridere il fatto che l’Italia produca meno energia solare ed eolica di Paesi che hanno molto meno vento e molto meno sole di noi. Investire in questi settori farebbe bene a tutti.
Il 22 marzo abbiamo presentato il quarto Osservatorio nazionale sullo stile di vita sostenibile, Ricola ne è stato partner fin dalla prima edizione: cosa hai visto cambiare in questi quattro anni?
Più che cambiare, ho visto consolidarsi dei trend che nel 2015 pensavamo potessero essere mode o reazioni al battage che si era creato con Expo. In realtà, a tre anni di distanza dalla manifestazione, possiamo dire che lo stile di vita sostenibile è ormai una realtà vera e ben caratterizzata. Nel 2015 pensavamo che i numeri dell’Osservatorio potessero essere sovrastimati a causa del fatto che si parlava tanto di sostenibilità proprio grazie a Expo. Adesso che l’evento è solo un ricordo, vediamo come l’interesse, da allora, sia comunque cresciuto del 35 per cento. Significa che è un trend vero e che le imprese devono tenerne conto.
Qual è secondo te la scelta più urgente da fare per contrastare i cambiamenti climatici?
Io ne vedo due. A livello macro, bisogna secondo me intervenire sulla mobilità sostenibile. Il nostro è un Paese in cui l’industria automobilistica è un po’ indietro, ma penso sia doveroso pensare ad un piano di incentivi che permettano alle persone di cambiare il parco auto e di sostituirle con veicoli elettrici o ibridi.
A livello micro, credo invece nel valore del network. Penso sia necessario mettere in contatto tra loro i piccoli produttori di energia (che poi dovremmo essere noi stessi, con le nostre abitazioni o con le nostre aziende): questo ci permetterebbe da una parte di essere più indipendenti dall’estero, e dall’altra parte di essere più coscienti dei nostri stessi consumi. Energia rinnovabile e incentivi ci metterebbero nella condizione di fare ognuno la propria parte. Perché tante piccole gocce possono davvero fare un mare.
A proposito di mare: durante l’Osservatorio è emerso che il problema della plastica negli oceani è una delle preoccupazioni principali delle persone. Ci sono già 80 milioni di tonnellate di plastica nei nostri mari e si calcola che nel 2050 ci sarà più plastica che pesci. Cosa ne pensi tu?
Quella delle isole di plastica nei nostri oceani è una notizia che ha fatto molto scalpore. Senza l’acqua il nostro mondo non esiste, si tratta di un’altra problematica molto seria. Penso che dobbiamo intervenire, sia come singoli, sia come collettività, a livello statale. In Svizzera, per esempio, negli uffici non c’è nessuno che abbia sulla scrivania la bottiglietta di plastica. E anche nei ristoranti o nelle case, le uniche bottiglie d’acqua che si trovano sono in vetro. Oppure, pensiamo alla Germania: in ogni supermercato c’è una macchina che ti consente di inserire i vuoti delle bottiglie di plastica e delle lattine in alluminio e che, in automatico, ti premia con un buono spesa. Sono diverse le soluzioni che ci permetterebbero di ridurre i rifiuti di plastica. Bisogna riuscire a fare un cambiamento culturale e continuare a promuovere uno stile di vita sostenibile è la via giusta.
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