Maryam al-Khawaja, attivista in Bahrein. Dove si rischia la libertà per un tweet

Nel piccolo paese del Golfo, giornalisti e oppositori politici vengono imprigionati e torturati. Abbiamo intervistato Maryam al-Khawaja, giovane attivista.

“È bene che l’Europa smetta di guardare ai paesi del Golfo come a paradisi dorati di gente ricca. La realtà è che ci vivono popoli oppressi da regimi che non riconoscono i diritti fondamentali primari, come la libertà di espressione ”. Sono le parole di Maryam al-Khawaja, 33 anni, attivista per i diritti umani del Bahrein, attualmente in esilio in Danimarca.

È stata arrestata nel 2014 nell’aeroporto internazionale della capitale Manama mentre cercava di far visita a suo padre, Abdulhadi al-Khawaja, esponente politico molto popolare che sta attualmente scontando l’ergastolo per aver organizzato proteste pacifiche durante la primavera araba del 2011. Sua sorella Zainab al-Khawaja, è finita in carcere undici volte e ora vive anche lei in Danimarca. Dopo l’ultima condanna, durante la quale è stata incarcerata con il figlio di un anno, il governo ha dichiarato che se fosse rimasta l’avrebbe arrestata di nuovo, probabilmente senza poter più vedere i suoi bambini.

Maryam al-Khawaja e sua sorella con una foto del padre
Maryam e sua sorella Zainab, con in mano una foto del padre @ frontlinedefenders

L’isola del Bahrein, tra affari internazionali e diritti negati

Il piccolo stato tra il Qatar e l’Arabia Saudita è teatro di continue repressioni, violazioni dei diritti e torture nei confronti di chi si oppone, in qualsiasi modo, al sistema monarchico. Attualmente sono circa 4mila, tra uomini e donne, le persone incarcerate per ragioni politiche. L’organizzazione Americans for Democracy and Human Rights in Bahrein (Adhrb) ha monitorato e documentato più di mille casi di tortura contro la maggioranza sciita, da parte del governo guidato dalla monarchia sunnita degli Al-Khalifa.

Il paese ospita la Quinta flotta della marina americana e una base militare permanente del Regno Unito, mentre l’Italia continua a promuovere intese economiche e commerciali, confermate anche dall’ultimo incontro del presidente del Consiglio Giuseppe Conte con il principe ereditario Salman bin Hamad al-Khalifa, giunto per inaugurare a Roma l’ambasciata del Regno. “Suggellando”, come si legge nella nota del sito del governo italiano, “un salto di qualità delle relazioni italo-bahreinite nei numerosi settori di reciproco interesse.” La libertà di espressione non era sul tavolo. Anche se basta un tweet contro il sistema per venire condannati e seguire un profilo attivo all’opposizione può portare a procedimenti legali.

Con il rischio del coronavirus, le organizzazioni umanitarie fanno pressione affinché anche i prigionieri politici vengano rilasciati

Ad aprile, per contenere la pandemia di coronavirus, il governo ha liberato oltre 1.486 prigioneri dalle carceri già sovraffollate. Di questi, 901 hanno ricevuto l’indulto con decreto regio, mentre 585 sono passati alla custodia non detentiva. Un procedimento accolto con favore dalle organizzazioni che difendono i diritti umani, anche se con molte riserve: sono ancora troppi i prigionieri politici e gli attivisti rimasti in cella, dove non sarebbero mai dovuti entrare.
Abbiamo chiesto a Maryam al-Khawaja di raccontarci il suo punto di vista, le fatiche e i rischi di chi sceglie di combattere in prima linea per il bene collettivo.

Prima di tutto come sta e su quali fronti è impegnata in questi giorni?
Sto abbastanza bene e porto avanti il mio lavoro, anche se dall’esilio. Con l’emergenza legata al coronavirus mi sto dedicando in particolare al tema del sovraffollamento nelle carceri e alla mancanza di protocolli sanitari adeguati, in Bahrein ma non solo, perché la pandemia non diventi un massacro. In diversi paesi del mondo si sta agendo con decreti di scarcerazione che non sono però sufficienti. Nella maggior parte dei casi i prigionieri politici non sono inclusi ed è poi necessario destinare un’attenzione particolare alle fasce più deboli. Parlo di donne con bambini e anziani. Voglio ricordare che nella prigione di Tora, al Cairo, l’attivista egiziano Alaa Abdel Fattah ha portato avanti per oltre un mese lo sciopero della fame per denunciare le condizioni disumane a cui è sottoposto. Poi, ovviamente sono anche molto preoccupata per mio padre.

Maryam al-Khawaja chiede la liberazione dei prigionieri politici
Maryam al-Khawaja chiede la liberazione dei prigionieri politici © ADHRB

È riuscita ad avere sue notizie?
Per ora ci viene ancora concessa una telefonata ogni tanto e riusciamo quindi a parlargli direttamente, ma nessuno della mia famiglia lo vede da più di un mese. L’età sta avanzando, la sue condizioni fisiche sono già compromesse a causa dei maltrattamenti e delle torture di ogni tipo che ha dovuto subire. Sappiamo che al momento non ha avuto ulteriori complicazioni di salute ma spesso riceviamo delle indiscrezioni su casi di Covid-19 in prigione e questo ci mette in allarme, perché sarebbe un rischio enorme, per lui e per altri. La questione dei detenuti è importante e travalica i confini. In Bahrein è particolarmente grave perché non esiste alcuna considerazione dei diritti umani dei prigionieri.

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Sentirsi sempre in pericolo, temere per lei e per la sua famiglia, combattere ingiustizie e affrontare pene tremende e ingiuste. Come supera i momenti in cui vorrebbe mollare tutto?
Buona domanda. Prima di tutto sento fortemente la responsabilità nei confronti di quelli che non si sono risparmiati per sostenere me e la mia famiglia. Io non posso mollare perché loro non l’hanno fatto e sono arrivati a dare tutto per la democrazia e la libertà, dedicandosi completamente al bene comune. Più intimamente, ho capito che non puoi prenderti cura degli altri trascurando te stessa. La salute mentale è importante tanto quanto quella fisica e imparare a prendermi cura di me, in maniera totale, è diventato parte del mio viaggio.

Cosa dovrebbero fare gli altri paesi, parlo anche della gente comune, per supportare gli attivisti?
Ognuno di noi può contribuire, ad esempio, denunciando apertamente i casi di violazione di diritti umani e facendo pressione sui governi affinché prendano una posizione netta nei confronti di chi non li rispetta. Specialmente in Italia, dove, se guardate i profili Twitter di alcuni esponenti del governo che fanno affari in Bahrein, sembra che la questione delle torture, delle minacce e delle condanne non esista proprio. È giusto che gli italiani sappiano che gli interessi economici e commerciali spesso vengono fatti a spese della gente comune.

Quali sono i valori fondamentali della cultura del Bahrein?
In generale le persone sono molto amichevoli, solidali e senza dubbio tenaci. Dal 1920 ad oggi, ogni dieci anni, circa il popolo bahreinita è insorto per ribellarsi ai soprusi. Le persone hanno deciso che vogliono qualcosa di meglio per la società e lottano continuamente per arrivarci, anche quando il prezzo è molto alto. Questa perseveranza racconta molto della loro natura. È necessario che gli europei smettano di guardare ai paesi del Golfo come a oasi dorate solo per ricchi, perché in realtà ci vivono dei popoli, anche molto diversi tra loro, a cui non vengono riconosciuti i diritti umani fondamentali. È da abbattere anche l’idea che questi popoli “si meritino” il regime perché sono musulmani e che, se arrivasse la libertà, sarebbe rischioso per la sicurezza mondiale.

Ricordo che, purtroppo, la stessa cosa poteva essere detta per l’Europa e nemmeno tanto tempo fa. Nella primavera araba del 2011, diversi occidentali si dicevano stupiti per come le insurrezioni fossero potute nascere in paesi abituati da sempre alle dittature e quindi senza nemmeno una vaga idea del concetto di libertà. È una lettura assolutamente distorta ed etnocentrica, perché gli ideali rivendicati sono esistiti per lunghissimo tempo in quelle culture ed è proprio grazie alle persone, ai movimenti e alle comunità che li hanno nutriti, condivisi e portati avanti che la primavera araba è potuta avvenire.

Per una donna essere attivista è ancora più rischioso. Senza dubbio tu susciti molta ammirazione; quale è il messaggio che vuoi dare alle donne e in particolare a chi subisce continuamente limitazioni, violenze e abusi di potere?
Prima di tutto ho imparato che non si può riparare un danno usando gli stessi strumenti che l’hanno causato. In altre parole, non possiamo parlare di equità e sostenere il patriarcato. L’idea di diritti umani deve fiorire da sistemi più rappresentativi, capaci di incorporare seriamente i concetti di inclusione e di pari opportunità. È fondamentale inoltre che le donne collaborino in maniera coesa, anche quando significa condividere una dimensione molto personale. Spesso per una donna agire su un piano politico significa farlo su questioni che l’hanno toccata intimamente. Un altro aspetto è riconoscere che molte battaglie sociali nel mondo non sarebbero mai state vinte senza il contributo basilare delle donne. Non dimenticare quindi mai il nostro ruolo, le nostre capacità e l’impatto che possiamo avere.

Maryam al-Khawaja per equità e diritti umani
Maryam al-Khawaja parla di equità e diritti umani © ADHRB

Tu hai la doppia cittadinanza, bahreinita e danese. Come vedi l’Europa da cittadina ed esiliata allo stesso tempo?
È interessante vedere come in Europa le persone abbiano poca memoria. Si sente molta rabbia, e a tratti anche odio, nei confronti dei migranti, dei rifugiati che arrivano dal Medio Oriente, ma non è lontano il tempo in cui sono stati gli stessi europei a fuggire in questi paesi per scappare alle persecuzioni dopo la seconda guerra mondiale. Si sta delineando un panorama nel quale i diritti umani, riconosciuti universali sulla carta, sembrano invece appartenere solo ai paesi dell’Unione, e nemmeno in tutti i casi. Le persone non capiscono che, quando sostengono la disumanizzazione e la riduzione dei diritti degli altri stanno, stanno danneggiando loro stesse perché legittimano un sistema di abuso di potere e di controllo che in realtà li coinvolge direttamente. Questo processo però avviene in modo così lento e mascherato che è quasi impossibile accorgersene. È invece fondamentale diventarne consapevoli e fermare questa deriva. Non farlo, significa lasciare campo libero ad un sistema brutale e pericoloso, che può colpire tutti non appena chi è al potere lo riterrà necessario.

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