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Le spiagge del mondo stanno scomparendo a causa dell’erosione, frutto della crisi climatica, con gravi conseguenze per la fauna selvatica e gli insediamenti costieri.
Le coste sono la cartina al tornasole del nostro abuso degli ecosistemi e degli squilibri ambientali in atto e ci mostrano, senza possibilità di replica, gli effetti della crisi climatica. Le aree costiere di tutto il pianeta sono minacciate dall’erosione e dall’innalzamento del livello dei mari e quasi metà delle spiagge sabbiose potrebbe scomparire entro la fine del secolo, inglobate dalle acque da cui sono emerse in epoche remote.
È quanto sostiene lo studio Sandy coastlines under threat of erosion, pubblicato sulla rivista Nature climate change. I ricercatori del Centro comune di ricerca (Jrc) della Commissione europea hanno analizzato le immagini satellitari relative ai cambiamenti delle aree costiere negli ultimi tre decenni e, sulla base di questi dati, hanno ipotizzato due scenari futuri.
Uno che prevede una mitigazione delle emissioni di gas a effetto serra, con un conseguente innalzamento degli oceani di “soli” 50 centimetri entro il 2100, e l’altro che prevede invece che continui l’attuale insostenibile tasso di emissioni, con un conseguente innalzamento delle acque di circa 80 centimetri.
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Entro il 2050, secondo i ricercatori, a causa dei cambiamenti antropogenici e geologici andrà perso tra il 13,6 e il 15,2 per cento delle spiagge sabbiose globali, pari a una superficie compresa tra i 36.097 e i 40.511 chilometri quadrati. Entro il 2100 lo scenario è ancora più allarmante, scomparirà dal 35,7 al 49,5 per cento delle spiagge, per una superficie che va dai 95.061 ai 131.745 chilometri quadrati.
Le spiagge sabbiose occupano più di un terzo delle coste del pianeta e hanno un elevato valore socioeconomico e ambientale. Offrono infatti una serie di preziosi servizi ricreativi, turistici ed ecosistemici. “Le spiagge sabbiose sono habitat vitali per una vasta gamma di specie – ha affermato Michalis Vousdoukas, oceanografo del Jrc e autore principale dello studio -. Proteggono inoltre le coste dagli effetti delle tempeste”.
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La scomparsa delle spiagge, ultimi avamposti che tutelano altri ambienti da fenomeni climatici e acqua salata, metterà in pericolo la fauna selvatica e avrà un grande impatto sugli insediamenti costieri, che si ritroveranno privi di zone cuscinetto in grado di proteggerli dall’innalzamento del livello del mare e dalle mareggiate.
Nello scenario figurato dagli scienziati, gran parte delle coste a rischio si trova in aree densamente popolate. L’Australia sarebbe la nazione condannata a pagare il prezzo più alto, rischia infatti di perdere quasi 15mila chilometri quadrati di spiagge, circa la metà della sua attuale costa sabbiosa totale.
Seguono Canada, che secondo le previsioni perderà fino a 14.425 chilometri quadrati di spiagge, Cile, fino 6.659 chilometri quadrati, Messico, fino a 5.488 chilometri quadrati, Cina, fino a 5.440 chilometri quadrati, Stati Uniti, fino a 5.530 chilometri quadrati, Russia, fino a 4.762 chilometri quadrati e Argentina, fino a 3.739 chilometri quadrati.
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Della perdita dei litorali risentiranno soprattutto i paesi in via di sviluppo, economicamente fragili e fortemente dipendenti dal turismo balneare. In tutto il mondo, le spiagge si ritireranno in media di 86,4 metri nello scenario più ottimistico e di 128,1 metri nello scenario peggiore.
In Italia, secondo il Rapporto Spiagge 2019 redatto da Legambiente, un terzo delle aree costiere sta subendo processi o è a rischio erosione e negli ultimi 50 anni la riva in media è arretrata di 25 metri.
Tagliare rapidamente le emissioni di gas a effetto serra, secondo la ricerca, potrebbe contribuire a ridurre l’impatto dell’erosione costiera, fenomeno aggravato dai cambiamenti climatici che causano l’innalzamento del livello dei mari e l’intensificazione di fenomeni atmosferici, come tempeste e uragani. “Una mitigazione delle emissioni di gas serra – ha affermato Vousdoukas – potrebbe impedire il 40 per cento della ritirata del litorale a livello globale”.
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