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Il governo brasiliano ha iniziato a sfrattare i cercatori d’oro illegali, responsabili dell’emergenza sanitaria che ha colpito il popolo Yanomami.
Già tra il 7 e l’8 febbraio i primi agenti dell’Ibama, l’Istituto brasiliano dell’ambiente e delle risorse naturali, sono riusciti a raggiungere le remote zone della foresta amazzonica nello stato del Roraima. E hanno iniziato a sequestrare e distruggere l’attrezzatura dei garimpeiros, i cercatori d’oro che si erano stabiliti lì illegalmente. E non era ancora nulla in confronto all’imponente dispiegamento di forze scattato venerdì 10 febbraio, quando la polizia e l’esercito hanno fatto irruzione a bordo di elicotteri Black Hawk, per smantellare gli insediamenti abusivi e restituire il territorio ai suoi legittimi proprietari: gli indigeni del popolo Yanomami.
Sono circa 20mila i garimpeiros che negli ultimi anni hanno invaso illecitamente quest’area di Amazzonia, vicina al confine con il Venezuela. E hanno provocato una vera e propria emergenza sanitaria. Hanno inquinato i fiumi con il mercurio, abbattuto gli alberi, messo in fuga gli animali, portato la malaria e altre malattie potenzialmente letali per un popolo – quello Yanomami, appunto – isolato dal mondo e pressoché privo di assistenza sanitaria. Tra i più vulnerabili, i bambini al di sotto dei cinque anni. Nell’arco di soli quattro anni, in territorio Yanomami, ben 570 sono morti a causa di patologie evitabili.
Dopo aver visitato personalmente la zona insieme ai suoi ministri, il presidente brasiliano Lula aveva parlato apertamente di “genocidio” e aveva promesso di intervenire. E così è stato, con una massiccia operazione in cui sono coinvolti l’Ibama, il dipartimento per gli affari indigeni Funai e le forze nazionali di pubblica sicurezza. “Oltre a urgenti cure sanitarie, la cosa di cui abbiamo più bisogno è la protezione permanente e totale della nostra terra, in particolare nelle aree di frontiera dove vivono i Moxihatetea [Yanomami incontattati]. Ciò che è accaduto non deve ripetersi mai più”, ha dichiarato il leader indigeno Davi Kopenawa Yanomami a Survival International, organizzazione che da decenni si batte per i diritti dei popoli nativi.
Nel frattempo arriva un’altra notizia che fa ben sperare: nel mese di gennaio 2023, il primo dall’insediamento di Lula, il tasso di deforestazione in Amazzonia è calato rispetto a un anno prima. Per la precisione, l’area deforestata ammonta a 167 chilometri quadrati. Scende dunque addirittura del 61 per cento in meno rispetto al mese di gennaio 2022 – che però era stato particolarmente negativo, il peggiore nell’arco di otto anni – ed è anche più basso della media registrata per questo mese dell’anno dal 2016 in poi, pari a 196 kmq. È quanto emerge dai dati satellitari preliminari resi noti dall’Inpe, l’Istituto brasiliano di ricerche spaziali.
“È positivo assistere a un calo così rilevante a gennaio”, commenta Daniel Silva, esperto di conservazione per l’organizzazione ambientalista Wwf, intervistato dall’agenzia Reuters. “Tuttavia, è ancora troppo presto per parlare di un’inversione di tendenza”. Sia perché il dato di un singolo mese non è certo esaustivo, all’interno di trend che si snodano nell’arco di interi anni. Sia perché a gennaio il meteo è molto nuvoloso e rischia di compromettere la qualità delle osservazioni satellitari. Ci sarà tempo per capire se Lula riuscirà davvero a concretizzare l’obiettivo della deforestazione zero, come ha promesso alla Cop27 di Sharm-el-Sheikh.
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