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L’energia da impianti nucleari viene citata come la migliore alternativa all’energia da fonti fossili. Non è così: la migliore è quella da fonti rinnovabili
Quando si prendono in considerazione i sistemi di produzione dell’energia non si parla mai di rischio zero, in nessun caso. Ma quando si parla di nucleare è evidente che lo scenario peggiore, quello del disastro, è di ordine di grandezza superiore a quello di ogni altro sistema, per invasività e per le insidie nel lungo termine.
È la tecnologia che si vorrebbe adottare in Italia. Ma tre agenzie di sicurezza internazionali hanno bocciato questo sistema. La centrale nucleare di Olkiluoto è la prima con reattore EPR e l’ultima in costruzione in Europa negli ultimi quindici anni. Il costo previsto inizialmente era di 3,2 miliardi di euro, ma i continui Stop&Go hanno fatto schizzare il capitale necessario a 5,3 miliardi di euro, stimati nell’agosto 2009.
Si registrano problemi anche per l’operatività routinaria degli impianti. Uno studio sul cancro infantile condotto in Germania nel 2008 ha verificato un aumento di 2,2 volte dei casi di leucemia nei bambini residenti entro un raggio di 5 km dalle centrali.
Mentre in Giappone anche una tragedia come quella di Fukushima viene affrontata dalla classe dirigente senza sottrarsi alle responsabilità, dagli operatori intorno alla centrale fino al primo ministro Naoto Kan, in Italia non si trova nemmeno un politico che venga a un convegno a difendere in prima persona la scelta nucleare.
Negli ultimi decenni il rischio terrorismo è andato aumentando, fino all’impennata dopo l’11 settembre 2001. Le possibilità di attentati terroristici impongono alti costi e militarizzazione di interi territori senza garantire condizioni di sicurezza.
Dopo 50 anni dalla costruzione della prima centrale nucleare, non esiste al mondo un deposito definitivo per le scorie altamente radioattive.
Le scorie altamente radioattive rimangono tali per decine di migliaia di anni. L’unico tentativo di affrontare la questione è stato il deposito di Yucca Mountain, nel Nevada, il cui costo di gestione ammonta a 54 miliardi di dollari. Oggi il presidente Barack H. Obama lo ha bloccato. Ma il problema rimane: dove smaltire le 2.000 tonnellate di rifiuti prodotte ogni anno dagli Stati Uniti?
Nel frattempo si troverà una soluzione, attraverso la ricerca, l’innovazione, su come trattare queste scorie? La mia risposta è sì, forse; ma nello stesso lasso di tempo la ricerca e l’innovazione nei campi dell’efficienza energetica e delle rinnovabili saranno molto più rapide e veloci. Nonché più proficue e intelligenti.
Il mercato negli USA Negli Stati Uniti gli ordini per centrali nucleari non si sono fermati a causa dell’incidente di Three Miles Island del 1979 – uno dei più gravi incidenti della storia industriale – ma si erano fermati già da un anno. E’ da allora che il nucleare è fuori mercato.
Tutte le 66 centrali in costruzione del mondo sono statali, non ce n’è neanche una privata.
Studi contenuti nell’Energy Outlook del Dipartimento dell’energia statunitense classificano il nucleare come una delle fonti di energia più costose: al 2020 lo vedono più caro del 27% rispetto all’eolico.
In più, tutti gli studi relativi ai costi del nucleare rispetto alle altre fonti generalmente non conteggiano, o conteggiano male, il fine vita, ovvero la gestione delle scorie. E non conteggiano, o conteggiano molto male, i costi aggiuntivi di messa in sicurezza che oggi sono necessari per lo scenario di instabilità dovuto al terrorismo, che venti anni fa erano molto inferiori. E’ evidente che oggi la minaccia concreta di attacchi terroristici rende il tutto molto più costoso e difficile rispetto ai decenni passati.
Generalmente una tecnologia più progredisce, più si diffonde, e meno costa. Questo è vero per esempio anche per l’energia fotovoltaica che oggi costa un quinto – cinque volte meno – rispetto a quanto costava trenta anni fa. Ebbene, il nucleare è una delle pochissime tecnologie che ha una curva di apprendimento negativa, cioè ad oggi, rispetto a trenta anni fa, il suo costo è quintuplicato. Proprio perché ci sono problemi tecnologici e di messa in sicurezza che all’inizio erano sottostimati.
I costi del kwh nucleare sono in gran parte di natura finanziaria: provengono soprattutto dall’ammortamento degli investimenti effettuati per la costruzione della centrale e solo una parte minoritaria serve a coprire il costo del combustibile (mentre la gran parte del costo di un kwh prodotto da una centrale a gas è dovuto al costo del gas stesso). Questa caratteristica rende il nucleare particolarmente vulnerabile all’eventualità di blocchi o ritardi -scenario tipico italiano- nella realizzazione delle centrali: in questo caso il costo dell’energia andrebbe a crescere sensibilmente.
Ci sono due errori in questa affermazione. Il primo è che quel 25% fa riferimento all’energia elettrica, che vale circa il 20% del fabbisogno energetico totale italiano, che comprende ad esempio anche tutti i combustibili fossili importati per il riscaldamento e i trasporti. Quindi si sta parlando in realtà di un contributo da parte del nucleare che in Italia andrebbe a coprire solo un 5% del fabbisogno energetico italiano, ben lungi dall’essere “un quarto” dell’energia che serve. Il secondo errore è sulla stima dei tempi: è evidente che una o più centrali nucleari in nove anni in Italia non si costruiranno mai; i piani che dicono che si potrebbero costruire in cinque-sei anni sono pura fantasia.
Al 31 dicembre 2010 erano in costruzione 66 impianti nucleari nel mondo, anche in paesi con tempi di realizzazione di opere pubbliche più rapidi dell’Italia: di questi, ben 12 sono in costruzione da più di 20 anni, per 45 non è segnalata nemmeno la data della fine lavori. E comunque per più del 50% di questi, si è in ritardo sui tempi previsti.
Per costruire una centrale nucleare in Italia nel migliore dei casi ci vorranno 10 o 15 anni. Si paragonino questi tempi con quelli degli interventi di efficienza energetica o di realizzazione degli impianti da fonti rinnovabili che sono nell’ordine di mesi.
Non esiste una pregiudiziale ideologica contro il nucleare. La ricerca in corso sui cosiddetti reattori di quarta generazione potrebbe portare risultati interessanti perché punta ad un grado di sicurezza intrinseca in cui si previene la fusione del nocciolo, ma le prime applicazioni non arriveranno prima del 2040. A quel punto si potranno realizzare molte cose nelle energie rinnovabili.
Serve implementare da subito una strategia seria di efficienza energetica, sviluppo delle rinnovabili e realizzazione di una smartgrid, ossia di una rete elettrica “intelligente”. La smartgrid è integrazione essenziale per le rinnovabili perché gestisce in maniera efficiente gli alti e bassi di produzione e consumi.
Vari studi indipendenti in Europa indicano che il risparmio di energia elettrica immediatamente ottenibile è del 40% circa. Con interventi semplici e fattibili oggi stesso, senza dover aspettare tecnologie futuribili. In europa sono quasi 4 miliardi gli elettrodomestici che ogni giorno restano in modalità stand-by: consumano elettricità inutilmente. E’ uno spreco di energia che ci costa 7 miliardi di euro all’anno, per 20 miliardi di tonnellate di CO2 immesse in atmosfera. Si noti che è possibile ridurre il consumo in stand-by dell’85% semplicemente con l’applicazione di poche regole semplici nella progettazione degli elettrodomestici. Se tutti gli 850.000 ascensori italiani avessero un consumo in stand-by pari a quelli in classe A (i più efficienti sul mercato) potremmo spegnere una centrale termoelettrica. E senza peggiorare la qualità del servizio.
Esistono scelte che sono incomparabilmente più sagge, a livello di rischio, rispetto al nucleare, ma anche a livello di opportunità di lavoro: più studi dimostrano che gli investimenti in efficienza energetica e rinnovabili creano centinaia di migliaia di posti di lavoro, da 20 a 25 volte in più rispetto alle persone che impiega il nucleare. Senza menzionare ciò che questo vuol dire a livello di competitività: se un sistema energetico ed industriale diventa più efficiente, sarà anche più competitivo nello scenario economico internazionale.
Abbiamo fatto partire con LifeGate il progetto Impatto Zero®, il primo ad applicare in Italia i dettami del Protocollo di Kyoto, che calcola, riduce e compensa le emissioni di CO2. Siamo stati tra i primi a occuparci di effetto serra. Anche se è vero che un impianto nucleare genera meno emissioni di gas a effetto serra rispetto alle centrali a combustibili fossili, la strada maestra rimane quella dell’efficienza e delle rinnovabili. Uno studio di Amory Lovins ha dimostrato che ogni dollaro investito nel nucleare è capace di ridurre la CO2 del paese da due a dieci volte meno rispetto allo stesso dollaro investito in efficienza energetica e rinnovabili. E lo fa da venti a quaranta volte più lentamente.
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