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Una nuova indagine conferma le crudeltà negli allevamenti suinicoli fornitori del noto marchio Dop, vere e proprie industrie dove gli animali cessano di essere tali e diventano macchine di produzione di carne. L’editoriale del portavoce di Essere Animali.
Oggi lo sappiamo. Negli allevamenti intensivi può accadere che, a causa del malessere causato dalle privazioni a cui sono sottoposti, gli animali si mordano tra loro fino ad amputarsi code e orecchie. Può accadere anche che allevatori lascino morire gli animali malati in agonia, anche se impiegano giorni, forse per non pagare le spese della soppressione al veterinario. Può accadere, e accade, anche per la produzione di quella che è considerata un’eccellenza italiana: il prosciutto di Parma.
Tra febbraio e giugno il team investigativo di Essere Animali ha documentato le condizioni di otto allevamenti fornitori del prosciutto di Parma, situati in cinque province tra Emilia-Romagna e Lombardia. Le immagini, trasmesse anche da telegiornali nazionali, sono un pugno al cuore. Mostrano maiali in stato di gravissima sofferenza all’interno di strutture sporche e fatiscenti. Abbiamo segnalato questi allevamenti al corpo dei Carabinieri forestali, al Nucleo investigativo reati a danno degli animali (Nirda) e ai Nas (Nuclei anti sofisticazione), così come lo scorso dicembre avevamo segnalato le condizioni di un altro allevamento fornitore del noto marchio dop, i cui successivi controlli hanno poi confermato molte criticità. Le nostre denunce legali, però, non esauriscono lo scopo delle nostre indagini, che rimane quello di mostrare le conseguenze di un folle sistema di allevamento intensivo e invitare le persone a fare scelte alimentari consapevoli.
Per il Consorzio il nostro lavoro di indagine sarebbe scorretto, poiché attribuirebbe all’organismo responsabilità non sue. In seguito alla diffusione della prima investigazione i responsabili di Essere Animali sono stati denunciati dallo stesso Consorzio per diffamazione a mezzo stampa e il video dell’indagine è stato da poco oscurato dal web dalla polizia postale. Si chiama sequestro preventivo ed è un sequestro disposto in attesa che vengano fatte le relative indagini, ma a noi sa tanto di censura. Tutti, infatti, abbiamo il diritto di farci un’opinione su un argomento così importante, anche perché è chiaro ormai che non si tratta di casi isolati, ma di un problema diffuso che non riguarda solo il Consorzio del prosciutto di Parma, ma la produzione di carne più in generale.
Sono nove milioni i maiali allevati nel nostro paese e poco meno della metà è destinata a diventare prosciutto di Parma. Ma tutti, o comunque la stragrande maggioranza, sono allevati in sistemi intensivi. Qui le scrofe sono rinchiuse gran parte della loro vita nelle gabbie di contenzione dove vivono praticamente immobilizzate e ingravidate a ciclo continuo, come se fossero un serbatoio di suinetti. I maiali invece crescono in gruppo nei recinti all’ingrasso, box di cemento spogliati di tutto, dove in breve tempo arrivano ad occupare gran parte della superficie disponibile. Ecco presto spiegato perché questi non sono casi isolati, perché animali altamente intelligenti e sensibili come i maiali sono trattati come macchine per un’industria che produce prosciutto. E di conseguenza sta a noi decidere cosa fare. Condividere le informazioni che vogliono censurare, ripensare le nostre scelte alimentari. Perché in fin dei conti quell’industria produce proprio perché c’è qualcuno disposto ad acquistare.
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