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One Planet One Future è il progetto fotografico dell’artista Anne de Carbuccia che mostra come l’uomo sia una minaccia per il Pianeta, mettendo a rischio la sopravvivenza di specie, culture e ambienti. A Milano il progetto è diventato una mostra fotografica permanente.
A Milano, nel contesto post-industriale di Lambrate, c’è un nuovo spazio permanente dedicato alla fotografia e alla salvaguardia del Pianeta. È la mostra fotografica One Planet One Future a firma dell’artista Anne de Carbuccia che ha l’obiettivo di documentare come l’uomo stia minacciando l’ambiente e aumentare la consapevolezza sui nostri stili di vita e di come ogni nostro comportamento abbia un impatto.
Le foto sono scattate in diversi luoghi del mondo e raffigurano quattro grandi temi cruciali, nonché sfide, che ci troviamo ad affrontare oggi: acqua, animali a rischio di estinzione, habitat in pericolo, rifugiati e culture distrutte. Anne de Carbuccia ci racconta della sua fotografia, del suo progetto e della sua fondazione.
Il nome One Planet One Future già dice tanto su quello che abbiamo di fronte. Che tipo di progetto è?
One Planet One Future è il mio modo artistico di documentare questo periodo di transizione. Le transizioni sono sempre accompagnate da alcune scelte su quello che abbiamo, su quello che abbiamo perso e quello che rischiamo di perdere e dalla consapevolezza di tutto ciò. Nella mia fotografia c’è un lato documentaristico che parla dei temi e delle sfide attuali, come l’acqua: dagli iceberg che si sciolgono all’erosione, ai profughi, alla guerra e ai diritti delle donne, fino ad arrivare agli animali in via d’estinzione e all’inquinamento. È una panoramica ampia.
Cosa ti ha spinto a lanciare il progetto e aumentare la consapevolezza sulle nostre azioni?
Sicuramente dalle mie angosce per il futuro, sono una madre. Ho avuto la fortuna di viaggiare tanto, di essere molto legata alla natura per il modo in cui sono stata cresciuta, quindi ho visto i cambiamenti. Quattro anni fa quando ho lanciato il mio progetto fotografico pensavano fossi fuori di testa, ma alla fine in quattro anni c’è stata una grande evoluzione. Mi sono ispirata al mio mondo, a quello che mi circondava, al mio fascino per le nature morte e il concetto del ciclo della vita che alla fine unisce tutte le culture e religioni.
Le tue foto raffigurano temi profondi accompagnati da elementi simbolici. Come descriveresti le tua fotografia?
Ci sono due tipi di fotografia: quella documentaristica e quella artistica. Mi piace pensare che la mia fotografia faccia tutte e due. A livello artistico, vado in giro per il mondo a creare questi altari del tempo (time shrine), parlando dei temi principali con i quali dobbiamo confrontarci. E lo faccio con le “vanitas”: una clessidra, che è il metodo più antico per misurare il tempo, e la rappresentazione del teschio umano che non è però simbolo di morte, ma un simbolo di scelta. Un simbolo che è stato usato da tantissimi artisti nel corso dei secoli nell’arte occidentale ma anche orientale. Quel simbolo è lì per ricordarci che siamo mortali ma soprattutto che nella vita esistono delle scelte. Questo tipo di simbologia è stata un po’ persa, io me ne sono appropriata. Questi due simboli sono il “fil rouge” del progetto. Poi sul luogo trovo e uso elementi organici, tribali e simbolici per creare questo altare del tempo. In primo piano c’è sempre una simbologia che però è sempre costruita per il soggetto che c’è dietro.
Perché hai avviato anche un percorso con i bambini e i ragazzi delle scuole?
Il progetto educativo è arrivato in maniera completamente organica. Ho scoperto con le prime mostre che l’arte mi dava voce. Scuole e università hanno iniziato a venire e a chiedere. Il messaggio, in fondo, è per loro. L’obiettivo è comunicare un tema che arrivi a tutti, in cui tutti si possano identificare, sempre con un occhio estetico. Come artista, per me è difficile dividere l’arte dal messaggio. Per questo facciamo le mostre con esperienze artistiche, dove però ci sono le didascalie molto chiare.
Tanta gente mi dice che parlo di temi ambientalisti, ma io credo di parlare di temi generali, che riguardano tutti. Ormai non esiste più la scatola dell’ambientalismo. E io non voglio essere messa in quella scatola, perché così facendo si impedisce alle persone di raggiungere una consapevolezza. Il messaggio di base è essere resilienti e fare qualcosa nel proprio piccolo. Non si può più puntare il dito contro gli altri, ormai è troppo tardi per perdere tempo a trovare i colpevoli. Si tratta invece dell’individuo, di prendersi le proprie responsabilità, di essere coscienti come persone e come consumatori.
La mostra permanente One Planet One Future è in via Conte Rosso 8 a Milano
Aperta al pubblico dal lunedì al venerdì, su appuntamento
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