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Mentre alcuni paesi decidono di abolire la pena di morte, gli Stati Uniti iniziano con le prime esecuzioni dell’anno. Il commento del portavoce di Amnesty International Italia.
La pena di morte torna negli Stati Uniti d’America. A distanza di poche ore, quando in Italia era da poco passata la mezzanotte ed era sopraggiunta l’alba del 28 gennaio, negli Usa sono state eseguite le prime esecuzioni dell’anno: con due iniezioni letali sono stati messi a morte Donald Grant in Oklahoma e Matthew Reeeves in Alabama.
Quella di Grant è stata la terza condanna a morte eseguita nel giro di pochi mesi in Oklahoma, dove tutto si era fermato 2015 a seguito di una serie di spaventosi esperimenti su essere umani causati dall’esaurimento delle scorte di uno dei tre medicinali usati nelle esecuzioni e dalla sua sostituzione con altri farmaci.
Il 2022 è dunque iniziato male negli Usa (altrove, molto peggio: in Iran le esecuzioni registrate a gennaio sono già una quarantina). Tuttavia, la tendenza al progressivo abbandono della pena capitale pare, per quanto lenta, inesorabile. Nel 2021 le esecuzioni sono state 11 rispetto alle 17 del 2020 e a entrambi i numeri aveva contribuito la feroce determinazione con cui l’allora presidente Trump aveva dato via libera complessivamente a 13 esecuzioni federali, tre delle quali negli ultimi giorni del suo mandato.
Ora, a livello federale, è in vigore una moratoria sulle esecuzioni. Lo scorso anno la Virginia è diventato l’undicesimo stato ad aver abolito la pena di morte in questo secolo e il ventitreesimo in totale. Quest’anno ci sono buone possibilità che lo Utah si aggiunga all’elenco.
Mentre da alcuni anni il numero delle nuove condanne si fa sempre più basso, continuano anche le uscite dai bracci della morte. La più recente, il 21 gennaio, è stata quella di Clinton Young, condannato alla pena capitale in Texas nel 2003 per un omicidio del quale si è sempre dichiarato innocente.
Tendenze, dati, statistiche sono tutto sommato confortanti. Ma va sempre ricordato che in gioco ci sono vite umane, che possono terminare per decisione di un giudice secondo il quale occorre che lo stato uccida per dire ai suoi cittadini che non devono uccidere. Da febbraio ad aprile sono in programma altre cinque esecuzioni.
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