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Cresce in Amazzonia la tensione tra i nativi e i cercatori d’oro, mentre il presidente Bolsonaro annuncia l’intenzione di aprire alcune riserve indigene all’esplorazione mineraria.
Fino a pochi decenni fa i Waiãpi, piccola tribù indigena dell’Amazzonia brasiliana, vivevano nel cuore della foresta amazzonica senza alcun contatto con il mondo esterno. Poi la foresta intorno a loro sembrò restringersi e a brulicare di cercatori d’oro e bulldozer e il loro isolamento finì. Nel 1973 il Funai, il dipartimento brasiliano per gli affari indigeni, decise di contattare i Waiãpi perché la dittatura militare del paese voleva costruire una superstrada attraverso la loro terra. All’epoca i Waiãpi contavano appena 150 individui e sembravano a un passo dell’estinzione, ma riuscirono a riprendersi e oggi sono più di 1.200. Il loro futuro, però, sembra nuovamente cupo.
Lo scorso 24 luglio il corpo senza vita di uno dei leader della comunità, il Emyra Waiãpi, 68 anni, assassinato con un’arma da taglio, è stato trovato in un fiume vicino al villaggio di Mariry, nello stato di Amapá, nel nord del Paese. Alcuni giorni dopo, il 27 luglio, il villaggio, situato in una riserva indigena, è stato letteralmente invaso da un gruppo di circa cinquanta minatori, pesantemente armati, che hanno costretto alla fuga gli abitanti, rifugiatisi nel vicino e più grande villaggio di Aramirã.
Non sono stati registrati feriti, ma sono trapelati ancora pochi dettagli della vicenda. Temendo per la propria incolumità i leader nativi hanno chiesto aiuto urgente alla polizia. “I minatori hanno invaso il villaggio e sono ancora lì. Sono armati con armi pesanti, hanno mitragliatrici – ha affermato Kureni Waiãpi, 26 anni, membro della tribù che vive nella vicina città di Pedra Branca do Amapari. – Ecco perché chiediamo aiuto alla polizia federale e all’esercito”. Si teme che i Waiãpi possano decidere di non aspettare l’intervento delle autorità e tornare al villaggio per recuperarlo e vendicarsi dei minatori.
L’assassinio del leader Waiãpi e l’invasione del villaggio, confermano l’allarmante tendenza che vede minatori e taglialegna compiere azioni di ritorsione sempre più audaci ai danni dei nativi, anche all’interno dei territori indigeni che dovrebbero essere protetti. Secondo molti la responsabilità sarebbe del presidente di estrema destra del Brasile, Jair Bolsonaro. Il presidente brasiliano è infatti il primo a incoraggiare l’occupazione dei territori dei nativi. Ha inaugurato il proprio mandato revocando al Funai la responsabilità di demarcare le terre indigene per affidarla al ministero dell’Agricoltura e recentemente ha affermato che le comunità indigene hanno il controllo di vasti territori che dovrebbero essere sfruttati da un punto di vista commerciale, definendo oltretutto i nativi “uomini preistorici”. “Il presidente è responsabile di questa morte – ha accusato Rodolfe Rodrigues, senatore dello stato di Amapá. – Le sue mani sono sporche di sangue”.
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