Grecia. Date, immagini e volti della crisi che sembra finita

Era il 2009 quando la crisi greca cambiava la storia dell’Europa. Il 22 giugno 2018 uno storico accordo ha messo formalmente la parola “fine”. Un riassunto delle puntate precedenti.

Sono passati dieci anni e finalmente, almeno sulla carta, la crisi greca è archiviata. Dopo anni durissimi e con mille difficoltà, il paese può camminare sulle sue gambe. Ripercorriamo la storia, le tappe e le vicende più importanti, per riordinare le idee su questa ferita ancora aperta nel cuore dell’Europa.

Ottobre 2009

Il momento zero della crisi greca

All’indomani dell’insediamento del suo governo, il primo ministro George Papandreou, esponente del Pasok, movimento socialista panellenico, rivela che i governi precedenti avevano falsificato i dati di bilancio dei conti pubblici per far sì che la Grecia entrasse nella zona euro. Il deficit pubblico per il 2009 – dichiara Papandreou – ammonta al 12,7 per cento, più del doppio rispetto alle stime precedenti. L’economia ellenica, afferma a chiare lettere il premier, rischia di crollare.

Inizia così ufficialmente la crisi greca, che precipita nell’arco di poche settimane. Mentre il governo di Atene cerca di correre ai ripari preparando un piano di privatizzazioni, lotta all’evasione fiscale, riforme strutturali e congelamento degli stipendi dei dipendenti statali, le previsioni sul deficit per il 2009 schizzano fino al 15 per cento e le agenzie di rating declassano il debito greco.

George Papandreou
George Papandreou nel 2009, che festeggia la vittoria del suo partito alle elezioni in Grecia © Milos Bicanski/Getty Images

Maggio 2010

Il primo piano di aiuti internazionali

La Grecia si trova schiacciata da un debito di 350 miliardi di euro. Accedere ai mercati finanziari è impossibile, perché i titoli di stato sono classificati al livello di “spazzatura”. Si inizia a parlare, su più fronti, di uscita dalla zona euro. Atene chiede un piano di aiuti internazionali, che le viene accordato a maggio: non era mai accaduto prima a un paese dell’Eurozona. L’Europa e il Fondo monetario internazionale concedono 110 miliardi di euro in tre anni per scongiurare l’insolvenza nei pagamenti, che avrebbe ripercussioni drammatiche per la tenuta dell’economia europea.

Il piano di aiuti è subordinato a un pesantissimo piano di austerità, che prevede tagli alle pensioni ai salari, aumenti delle tasse e riforme strutturali. In tutto il paese infuriano le proteste e gli scioperi, con episodi violenti e tragici. Uno di questi accade a maggio, quando tre persone muoiono intrappolate in una banca data alle fiamme.

proteste crisi greca
Maggio 2010. Poliziotti in assetto antisommossa di fronte al Parlamento di Atene © Milos Bicanski/Getty Images

2011-2012

Il secondo piano di salvataggio

La Grecia non accenna a risollevarsi. Mentre le agenzie tagliano ancora una volta il rating dei titoli greci, l’economia reale del paese è in ginocchio. A febbraio 2011 ad esempio la disoccupazione raggiunge il 15,9 per cento, arrivando a un clamoroso 40,4 per cento per i giovani tra i 15 e i 24 anni. Il governo aumenta a più riprese le tasse sulla casa e taglia le pensioni, oltre a mettere in mobilità 30mila dipendenti statali.

Si inizia per la prima volta a parlare di troika, un ente di controllo informale costituito da Fondo monetario internazionale, Unione europea e Banca centrale europea. È proprio la troika a vincere le resistenze della Germania e dare il via al fondo salva-stati (Efsf).

I leader dell’eurozona a ottobre 2011 elaborano un secondo piano di salvataggio, con una dotazione di 130 miliardi di euro, che serve a ridurre il debito dal 198 per cento al 120,5 per cento del pil entro il 2020. Parte di questi fondi serve per ricapitalizzare le banche private del paese, che detengono nelle loro casse quasi 29 miliardi di debito sovrano. Le condizioni per il prestito sono sempre le stesse: pesantissime misure di contenimento della spesa pubblica. Quando a febbraio il parlamento vota per l’ennesimo piano di austerity, in piazza Syntagma ad Atene si scatena una vera e propria guerriglia.

Il secondo pacchetto di aiuti viene approvato definitivamente nel mese di febbraio 2012 e applicato a partire dal mese successivo. Con una manovra detta haircut, necessaria per evitare l’insolvenza, i privati che detengono titoli greci vedono ridurre del 50 per cento il loro valore nominale, allungandone al tempo stesso la scadenza. Il secondo piano di aiuti dovrebbe esaurirsi nel 2014 ma viene poi prorogato al 30 giugno 2015.

George Papandreou Angela Merkel
I negoziati tra George Papandreou e Angela Merkel, febbraio 2011 © Sean Gallup/Getty Images

2015

Il nuovo governo e il referendum

Dopo anni di recessione ininterrotta, nel terzo trimestre 2014 l’economia greca torna per la prima volta a mostrare una crescita, pari allo 0,7 per cento sul pil. Le condizioni di vita della popolazione restano durissime. Tre milioni e mezzo gli occupati, tre milioni la somma tra disoccupati e popolazione inattiva. Alle cure mediche provvedono gli ambulatori popolari, visto che i fondi per gli ospedali pubblici sono stati dimezzati in quattro anni.

In questo clima, alle elezioni del 25 gennaio 2015 trionfa la coalizione di sinistra radicale Syriza, guidata da Alexīs Tsipras. Il suo programma economico trova il suo fulcro nella rinegoziazione del debito pubblico. “Non accetteremo condizioni umilianti in questi negoziati”, è la promessa del neo-primo ministro di Atene. Il 30 giugno la Grecia, non avendo i fondi necessari, non rimborsa una rata da 1,6 miliardi di euro al Fondo monetario internazionale. E, per evitare una crisi di liquidità, chiude le banche, vieta i trasferimenti di capitale all’estero e impone grossi limiti ai prelievi.

Tsipras, con una decisione unilaterale, indice un referendum per il 5 luglio. Chiamati ad accettare o rifiutare le proposte di ristrutturazione del debito da parte dei creditori, il 62 per cento dei greci vota per il “no”.

referendum grecia
Un Pope ortodosso vota al referendum in Grecia del 2015 © Milos Bicanski/Getty Images

Estate 2015

Il terzo “bail-out”

Nonostante il voto popolare, che rappresenta per lui una vittoria politica interna, Tsipras non riesce ad avere la meglio nel difficile confronto con i creditori. Nella notte tra il 12 e il 13 luglio 2015, dopo 17 ore ininterrotte di negoziati, l’Eurozona dà il via libera al terzo piano di aiuti alla Grecia, approvato ad agosto. Un’iniezione di altri 86 miliardi di euro, che fa lievitare il totale fino a 326 miliardi: la più grande operazione di salvataggio di sempre.

Particolarmente dure, anche in questo caso, le richieste: aumento dell’Iva, riforma delle pensioni, nuove leggi sul lavoro e incremento delle imposte indirette. Ciò comporta una scissione interna al partito di governo, Syriza, che porta alla convocazione di nuove elezioni politiche per il 30 settembre 2015. La tornata elettorale si conclude con una nuova vittoria del presidente uscente Tsipras.

Alexīs Tsipras e Jean-Claude Juncker
Alexīs Tsipras e Jean-Claude Juncker nel 2015 © Αλέξης Τσίπρας Πρωθυπουργός της Ελλάδας / Wikimedia Commons

2016-2018

La difficile ripresa

Dopo il picco di tensione legato al referendum, sulla crisi greca sembrano spegnersi i riflettori dei media. Nel mese di luglio 2017 Atene torna sui mercati finanziari, con 3 miliardi di euro di bond a scadenza quinquennale. Due mesi dopo i ministri delle Finanza dell’Unione sanciscono l’uscita del Paese dalla procedura per deficit eccessivo, avviata nel 2009.

In questi anni, stando alle parole del commissario europeo per gli Affari economici e finanziari Pierre Moscovici, la Grecia ha messo in atto 95 delle 110 riforme che le erano state imposte dalla troika. Dal punto di vista finanziario la salute della Grecia è nettamente migliorata, pur essendo ancora altalenante.

Ma questo traballante miglioramento dei dati economici non equivale a un miglioramento delle condizioni della popolazione. Al contrario, sono proprio le persone ad averlo pagato a caro prezzo. Rispetto al periodo pre-crisi, l’economia reale è irriconoscibile. Il tasso di disoccupazione, secondo l’Ocse, alla fine del 2017 è ancora pari al 21 per cento. Mezzo milione di persone è emigrato all’estero, un terzo del pil è andato in fumo, gli stipendi sono calati, duecentomila negozi hanno chiuso. Negli ospedali mancano i vaccini e i fili per le suture, un’infermiera segue in media 40 pazienti e i chirurghi si accontentano di 600 euro al mese. Secondo i piani circa 27mila case dovrebbero finire all’asta, anche se questo è uno dei fronti che ha sollevato più proteste da parte della popolazione.

22 giugno 2018

Lo storico accordo

Nella notte del 22 giugno 2018, l’ennesimo, interminabile negoziato dell’Eurogruppo arriva a una conclusione: la Grecia è promossa. Il governo ha approvato tutte le riforme richieste. Ciò significa che l’Unione sblocca l’ultima tranche di prestiti, pari a 15 miliardi di euro, che garantisce autosufficienza al paese per i prossimi due anni. Al tempo stesso, nonostante la contrarietà della Germania, la troika alleggerisce il debito di Atene (che al momento è pari al 180 per cento del pil), permettendole di rimborsarlo a partire dal 2032 e non più dal 2022.

La Grecia può finalmente tornare a camminare sulle sue gambe: la fine ufficiale del commissariamento è fissata per il 20 agosto. Anche se si tratta pur sempre di “libertà vigilata”, visto che i creditori effettueranno controlli a intervalli regolari. Il primo ministro Tsipras, come promesso più volte, per suggellare il momento indossa per la prima volta una cravatta. E il commissario agli Affari economici Pierre Moscovici dichiara che “la crisi greca finisce stasera in Lussemburgo”.

Foto d’apertura © Christopher Furlong/Getty Images

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