Iraq without rivers. Il reportage sugli attivisti iracheni che lottano per l’acqua vince il Dig pitch 2019

La storia dei giovani che difendono l’acqua in Iraq ha vinto il premio di giornalismo investigativo Dig pitch 2019. Una storia che racconta un altro Iraq, che si mobilita per clima e ambiente, come spiega una delle autrici, Sara Manisera.

“Vogliamo raccontare un’altra parte dell’Iraq, una parte diversa. Non guerra, non terrorismo, ma l’attivismo di giovani che, tanto quanto in Europa e altri paesi occidentali, si mobilitano in difesa dell’ambiente e per l’emergenza climatica”. È l’obiettivo di Iraq without rivers, il reportage inchiesta che racconta la lotta per il diritto all’acqua in Iraq, che è uno dei vincitori del festival di giornalismo investigativo Dig 2019, nelle parole di una delle sue autrici, Sara Manisera.

La storia di questi giovani attivisti iracheni che lottano per il diritto all’acqua credo abbia colpito. Anche in Iraq c’è una mobilitazione dei più giovani per la difesa dell’ambiente e l’emergenza climatica. Solo che non si racconta.Sara Manisera, giornalista
attivisti che difendono Tigri, Eufrate e paludi mesopotamiche in Iraq
Ali Alkarkhi, attivista per l’acqua, esperto di questioni idriche e fondatore dell’associazione locale Humat Dijlah. Salman Khairalla, un carismatico attivista per l’acqua, poco più che ventenne. È il coordinatore della campagna di advocacy Save the Tigris and Iraqi marshes, lanciata nel 2012 da numerose associazioni irachene e supportata dall’organizzazione non governativa Un ponte per…, al fine di suscitare l’attenzione internazionale sul patrimonio e le risorse idriche dell’Iraq © Arianna Pagani

Iraq without rivers, un reportage sull’attivismo dei giovani per l’acqua

Il reportage, realizzato da Silvia Boccardi, Sara Manisera, Arianna Pagani e Francesca Tosarelli e raccontato dalla giornalista Sara Manisera su LifeGate, parla infatti delle minacce, dai cambiamenti climatici allo sfruttamento delle risorse, che si trova ad affrontare l’Iraq di oggi, un paese che sta ancora lottando per riprendersi dalla guerra civile. In questo contesto, il coraggio dei giovani attivisti che lottano per salvare il proprio territorio, la culla dell’umanità, e le risorse di cui è casa.

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Grazie al premio ricevuto nella categoria pitch, in cui partecipano progetti di inchiesta in sviluppo incentrati su temi di rilevanza internazionale, giudicati da una giuria presieduta dalla scrittrice e attivista Naomi Klein, il documentarista Adam Lewis, la giornalista Juliana Rufus tra gli altri, il lavoro diventerà un documentario. Le autrici torneranno infatti sul campo per sviluppare il loro progetto. “L’idea è fare le riprese a settembre perché sarà dopo la stagione estiva, che è il periodo in cui si possono vedere gli effetti della siccità e dell’assenza di acqua”, ci ha detto la giornalista Sara Manisera. Settembre è anche il mese in cui i giovani attivisti, che saranno proprio i protagonisti del documentario, intraprenderanno un viaggio attraverso le città irachene tra i due fiumi, il Tigri e l’Eufrate, da Baghdad fino a Basra.

Basra forse è la città a sud forse più colpita dall’assenza di acqua, dalla corruzione del governo e dalla presenza di impianti petroliferi, che oltre a prelevare petrolio non hanno dato ricchezza ai cittadini, ma tanto inquinamento.Sara Manisera, giornalista
attivisti Iraq Tigri Eufrate
In Iraq molti attivisti si impegnano per salvaguardare le acque del Tigri e dell’Eufrate © Arianna Pagani

Le sfide ambientali che affronta l’Iraq di oggi

In questo viaggio, quindi, si andranno a toccare con mano e scoprire diverse dinamiche che compongono il quadro iracheno di oggi. Tra queste, c’è la presenza fisica, e l’impatto, delle attività antropiche, come l’industria del petrolio e la costruzione delle dighe. Queste dighe, come ci spiega Manisera, sono grandi opere infrastrutturali costruite principalmente da Turchia e Iran che bloccano l’acqua a monte, utilizzandola come strumento egemonico, di controllo, sugli altri paesi.

Se controlli l’acqua e apri e chiudi il rubinetto secondo le tue volontà hai un potere sui paesi che dipendono da te. Questo è un elemento da tenere in considerazione perché da qui potrebbero scaturire nuovi conflitti.Sara Manisera, giornalista

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attivisti che difendono Tigri, Eufrate e paludi mesopotamiche in Iraq
Chibayish, sud Iraq. Chibayish e le vaste paludi mesopotamiche circostanti erano, un tempo, la casa di migliaia di Ma’dan. Si estendevano su una superficie di 20mila chilometri quadrati, fino agli anni Novanta, quando Saddam Hussein decise di prosciugare queste uniche zone umide dell’Iraq meridionale come punizione per gli arabi delle paludi, che avevano sostenuto una rivolta contro di lui © Arianna Pagani

Fare luce sulle battaglie nei luoghi che più pagano il prezzo

Ed è su questo sfondo, a cui contribuisce anche uno stato fragile che non è stato in grado di effettuare controlli e mettere freno allo sfruttamento delle risorse, che si inserisce la crisi ambientale e climatica del paese. “Oggi si parla di emergenza climatica ma secondo me manca sempre l’analisi di fondo”, ci spiega la giornalista. “Se continuiamo a produrre in questo modo, l’emergenza continuerà. È il modo in cui produciamo che è sbagliato”.

Crediamo che l’emergenza climatica sia il risultato di un modo di fare economia, un modo di estrarre le risorse, di sfruttare l’ambiente in maniera eccessiva e irresponsabile. Avviene un po’ ovunque, in Iraq ancora di più.Sara Manisera, giornalista

Da qui, la necessità di raccontare l’impegno di chi fa qualcosa per cambiare lo stato delle cose, per proteggere non gli interessi di pochi, ma quelli di tutti. E i protagonisti della lotta per l’acqua in Iraq sono giovani, che sono cresciuti nel post-guerra, e che hanno quindi ereditato un paese distrutto, ma che hanno deciso di agire.

“Queste storie abbiamo bisogno di raccontarle. È nostra responsabilità cambiare la narrazione e mettere al centro le lotte dal basso, chi fa cose per cambiare questo modo di fare economia. Mi aspetto e spero che con questo documentario la voce di questi attivisti non sia abbandonata e lasciata da sola”, conclude Manisera. “Spero che questo documentario possa aiutare a sollevare la questione e accendere i riflettori su queste lotte che esistono anche da un’altra parte, in Medio oriente, dove forse si paga di più il prezzo“.

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