Non è certo un periodo facile per i colossi petroliferi. Stretta tra le incerte prospettive economiche per l’intero comparto e un’opinione pubblica sempre più convinta dell’assoluta necessità di una transizione verde, ExxonMobil ha annunciato in pompa magna il suo piano di riduzione delle emissioni per il 2050. Ma non è riuscita a convincere investitori e ambientalisti.
Tempi bui per le big del petrolio
Le misure di lockdown imposte per arginare la pandemia da coronavirus hanno fatto sprofondare il prezzo del petrolio. In primavera, per la prima volta nella storia, ha registrato addirittura valori negativi. Con l’ottimismo portato dallo sviluppo del vaccino le quotazioni sono tornare a salire, tant’è che il Brent (uno dei principali valori di riferimento insieme al Wti) nelle ultime settimane ha toccato i 50 dollari al barile, il picco massimo degli ultimi nove mesi. Un puro e semplice ritorno al pre-pandemia, però, è ancora da escludere. Lo ribadisce l’Agenzia internazionale per l’energia (Aie): per l’anno in corso la domanda media sarà inferiore di 8,8 milioni di barili al giorno rispetto allo scorso anno. Il rimbalzo del 2021 sarà solo parziale, considerate le limitazioni agli spostamenti internazionali.
I colossi petroliferi reagiscono come possono. Molti hanno ridimensionato le trivellazioni e tagliato i posti di lavoro. Altre hanno messo in campo fusioni e acquisizioni con l’intento di sforbiciare i costi. Tra di loro c’è la multinazionale di Houston ConocoPhilips che ha comprato Concho Resources per 9,7 miliardi di dollari. L’annuncio è arrivato a pochi giorni di distanza dal completamento dell’acquisizione di Noble Energy da parte di Chevron che, così facendo, si aggiudica una presenza nel mercato israeliano.
Un’altra strada è quella che in gergo finanziario viene definita writedown, cioè la svalutazione di alcuni beni dovuta al fatto che il loro valor di mercato è ormai inferiore a quello iscritto nel bilancio. È quello che ha fatto ExxonMobil. Nel 2010 l’impresa petrolifera texana si era aggiudicata Xto Energy, produttore statunitense di gas naturale da scisto, per 30 miliardi di dollari. Da allora i prezzi del gas naturale sono andati incontro a un lungo declino. Tra gli investimenti che hanno perso valore anche alcune proprietà in Argentina e Canada. L’azienda ha così deciso di operare una mega svalutazione compresa fra i 17 e i 20 miliardi di dollari. Senza però intaccare i dividendi, scelta che ha lasciato perplessi alcuni analisti.
Il piano ambientale di ExxonMobil
Nel bel mezzo di questa congiuntura tutt’altro che favorevole, lunedì 14 dicembre ExxonMobil ha annunciato la propria strategia ambientale per il 2025. Nello specifico, promette un calo del 15-20 per cento le emissioni di gas serra dei giacimenti petroliferi rispetto ai livelli del 2016. Parallelamente, vuole ridurre del 40-50 per cento l’intensità del metano e del 35-45 per cento quella del flaring (l’operazione con cui si brucia il gas naturale in eccesso) nelle sue operazioni globali. Obiettivi descritti come coerenti con quelli dell’Accordo di Parigi sul clima che, anzi, l’azienda assicura di aver sempre sostenuto fin dall’inizio.
Stando a quanto riportato da Edie.net, però, tra investitori e ambientalisti serpeggia un certo scetticismo. Innanzitutto i target sono relativi soltanto ai cosiddetti scope 1 e 2, cioè alle emissioni generate direttamente dall’azienda o connesse all’energia elettrica acquistata. Resta escluso lo scope 3 che comprende un’infinità di voci: la catena di fornitura, le trasferte dei dipendenti e l’uso dei prodotti. Un tema, quest’ultimo, che assume un peso colossale per una compagnia che produce e mette sul mercato combustibili fossili, i primi responsabili delle emissioni di gas serra che condannano il clima.
Anche il fatto che questo piano sia realmente in linea con l’Accordo di Parigi desta parecchi dubbi. La Union of concerned scientists, ong a cui collaborano cittadini e scienziati, lo definisce come “miseramente inadeguato”. “Le aziende che non riescono a stare al passo con le richieste della scienza minacciano il loro stesso futuro, mettendo in pericolo anche tutti noi a causa dei crescenti impatti del clima e dei rischi sistemici per l’economia globale”, dichiara Kathy Mulvey, portavoce della ong.
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