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Nel libro Selvaggi, George Monbiot ci presenta una nuova e positiva versione di ambientalismo, non più basata sulla conservazione della natura ma sul ripristino degli antichi meccanismi ecologici.
Riuscite a immaginare elefanti, rinoceronti, ippopotami, leoni e iene che vagano per le foreste dell’Europa? Probabilmente no. George Monbiot, invece, ci riesce e nel libro Selvaggi (pubblicato nel 2013 ma tradotto solo nel 2018 in italiano, edito da Piano B edizioni) ci racconta la sua visione accompagnandoci in un viaggio tra passato e futuro, che ha come meta finale un sogno eccitante, la rinaturalizzazione dell’Europa e il ritorno della sua grande fauna estinta.
Secondo l’Ipotesi Gaia il nostro pianeta è un organismo vivente, interconnesso in tutte le sue parti, in grado di autoregolarsi. Monbiot, ambientalista, scrittore e giornalista britannico, ritiene che un tempo fosse effettivamente così, prima che la nostra specie alterasse l’equilibrio. “Prima che le sue reti alimentari fossero ridotte a brandelli, il pianeta era controllato da animali e piante più di quanto oggi possiamo immaginare. Le prove a sostegno dell’ipotesi Gaia di James Lovelock sembrano, al livello di ecosistema, accumularsi”.
Il processo di rinaturalizzazione, secondo lo scrittore britannico, implica soprattutto che l’uomo faccia un passo indietro e ridimensioni la sua visione antropocentrica. “Rewilding, per me, significa resistere alla pulsione di controllare la natura: è permettere alla natura di trovare la propria strada – scrive Monbiot – implica la reintroduzione di animali e piante assenti. In mare, rewilding significa abolire la pesca intensiva e altre forme di sfruttamento”. Monbiot auspica dunque un’autodeterminazione della natura, non più governata dalla gestione umana ma dai propri processi. Questo rende il processo ancora più affascinante, poiché non si sa con certezza cosa ne emergerà. “Il rewilding non ha punti di arrivo, non ha visioni rispetto a cosa un giusto ecosistema o un giusto gruppo di specie debba assomigliare. Lascia che sia la natura a decidere. Mentre l’ambientalismo guarda spesso al passato, il rewilding di questo tipo guarda al futuro”.
Secondo la visione dell’autore di Selvaggi, il rewildig non costituirebbe un tentativo di ripristinare gli antichi ecosistemi distrutti, quanto il permettere ai meccanismi ecologici di rimettersi in moto e di intraprendere la propria strada, qualunque essa sia. “Il rewilding, a differenza del conservazionismo, non ha un obiettivo fisso: non è guidato dai gestori umani ma dai processi naturali. Scopo principale del rewilding è quello di ripristinare interazioni e dinamiche ecologiche nella più ampia misura possibile. In altre parole, il principio ecologico dietro il rewilding è il ripristino di ciò che gli ecologi chiamano diversità trofica”. Per questo Monbiot diffida di un approccio ambientalista troppo conservativo. “In paesi come il mio, il movimento ambientalista, seppure ben intenzionato, ha cercato di congelare nel tempo i sistemi viventi. Ha tentato di gestire la natura come si bada a un giardino”. Grazie al rewilding anche ecosistemi impoveriti come quelli europei potrebbero tornare ad essere abbondanti e affascinanti e rendere la fauna selvatica accessibile a tutti.
La tradizionale visione ecologista ha spesso posto l’accento sulle rinunce e sui sacrifici da fare in nome dell’ambiente, ridurre il consumo di carne, guidare di meno, consumare meno. Monbiot evidenzia invece i vantaggi, anziché gli svantaggi, ci promette un mondo nuovo ed eccitante. “Questo libro offre nuove libertà in cambio di quelle che abbiamo cercato di limitare. Prevede enormi aree di terra e di mare auto-determinati, ripopolati da fauna e flora che mancano da quei luoghi e nei quali potremmo vagare liberamente. Ma, cosa ben più importante, questo libro offre speranza. L’ambientalismo del Ventesimo secolo prevedeva una primavera silenziosa in cui l’ulteriore degrado della biosfera sembrava inevitabile. Il rewilding offre la speranza di un’estate chiassosa, in cui, almeno in alcune parti del mondo, i processi distruttivi hanno innescato la retromarcia”. La rivoluzione ecologica teorizzata da Monbiot, insomma, mira a migliorare l’ambiente per offrire un beneficio concreto alle persone, non in nome di un concetto astratto.
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Monbiot non propone di confiscare terre produttive all’uomo per restituirle alla natura, bensì lasciare alla rinaturalizzazione quelle aree poco produttive nelle quali l’agricoltura resiste solo grazie ai sussidi. “Alcune persone vedono il rewilding come una ritirata dell’uomo di fronte alla natura, io lo vedo invece come un ri-coinvolgimento, come una maggiore opportunità per le persone di entrare in contatto, e di amare, il mondo della natura”.
L’autore del saggio, per sua stessa ammissione, era preda di quella che definisce “noia ecologica” e per sfuggirle ha cercato di rendere più selvaggia la sua vita. Monbiot ritiene che molti di noi, in cuor loro, desiderino un ecosistema più feroce e meno prevedibile. “Sapere cosa accade dopo è stato forse il bisogno dominante delle società materialmente complesse. Eppure, dopo aver raggiunto questa condizione, o quasi, siamo stati ricompensati con una collezione di bisogni insoddisfatti. Abbiamo privilegiato la sicurezza all’esperienza: nel farlo abbiamo guadagnato molto, ma altrettanto abbiamo perso”. Tra quello che abbiamo perso, appunto, c’è una vita più imprevedibile, eccitante e pericolosa.
Selvaggi esprime idee incendiarie, tra queste la più visionaria è senza dubbio quella di un’ipotetica reintroduzione di elefanti in Europa. Monbiot menziona l’ipotesi secondo la quale molti alberi e arbusti europei si sarebbero evoluti per resistere agli attacchi degli elefanti. “L’elefante dalle zanne dritte, parente della specie che vive ancora oggi in Asia, era presente in Europa fino a circa 40mila anni fa – un semplice tic dell’orologio evolutivo. Molto probabilmente fu cacciato fino all’estinzione. Se la prova è convincente come sembra i nostri ecosistemi si sarebbero adattati agli elefanti”. Quella dello scrittore è quasi una provocazione, ma gioca (con successo) sul nostro senso del fantastico solleticando la nostra immaginazione. “Anche se queste speculazioni non conducono alla reintroduzione di elefanti e rinoceronti, non rendono forse l’ordinario un po’ più sorprendente? L’idea che i nostri alberi più familiari si siano adattati agli elefanti, che nelle loro ombre si intravedano le grandi bestie accanto a cui gli esseri umani si sono evoluti, che le tracce di questi animali possano essere trovate in ogni parco e viale e strada alberata, pervade il mondo di nuove meraviglie”.
Il ripristino dei meccanismo naturali che a lungo abbiamo bloccato non è un miraggio e, nonostante l’ancora immenso impatto antropico, è già in corso. In alcune aree del mondo infatti la natura sta facendo ritorno da dove era stata bandita, una stima citata da Monbiot prevede che entro il 2030 gli agricoltori del continente europeo abbandoneranno circa trenta milioni di ettari di terra. La maggior parte dei paesi europei ha oggi grandi aree di territorio autodeterminato. “Le aree che l’agricoltura libererà potrebbero essere abbastanza grandi da permettere la reintroduzione non solo di lupi, orsi, linci e bisonti, ma anche di elefanti, rinoceronti, ippopotami, leoni e iene, se soltanto la gente di questo continente lo volesse. Mentre la natura si ritira da altre parti del mondo, l’Europa, il primo continente a perdere la sua megafauna e molta della sua mesofauna potrebbe, attraverso il rewilding, diventare una delle regioni biologicamente più ricche della terra. Quel che non abbiamo ancora capito è che potremmo essere sul punto di assistere a una tumultuosa estate europea”. Qualcosa sta cambiando e il domani promette meraviglie, dobbiamo solo avere il coraggio di immaginarlo e aprire la gabbia in cui abbiamo cercato di rinchiudere la natura.
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