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Un decreto del governo ha scatenato un’ondata di proteste senza precedenti nella storia della Romania democratica. Esasperata dalla corruzione dilagante.
Il ministro della Giustizia della Romania, Florin Iordache, ha rassegnato giovedì 9 febbraio le proprie dimissioni. Il passo indietro è arrivato dopo più di una settimana di incessanti manifestazioni da parte della popolazione: le più aspre dai tempi della caduta del regime comunista di Nicolae Ceausescu. Iordache era uno dei principali bersagli della protesta, essendo stato tra gli ideatori di un contestatissimo decreto in materia di giustizia penale, adottato il 31 gennaio scorso dal governo e abrogato il 5 febbraio di fronte all’escalation delle manifestazioni di protesta.
“Fin dal giorno del mio insediamento – si è difeso l’ex membro del governo di Bucarest – ho fatto tutto ciò che potevo nel tentativo di trovare soluzioni a problemi particolarmente gravi. Tutte le iniziative che ho intrapreso sono legali e costituzionali”. Si tratta del secondo tassello che il primo ministro rumeno Sorin Grindeanu perde nel proprio esecutivo: il primo a lasciare era stato il ministro del Commercio Florin Jianu, che però aveva rassegnato le dimissioni proprio dopo l’adozione del decreto, in segno di protesta.
La crisi interna al governo, tuttavia, non è bastata a far approvare una mozione di sfiducia presentata in parlamento dalle opposizioni. I socialdemocratici godono infatti di un’ampia maggioranza, grazie alla vittoria ottenuta alle legislative del dicembre 2016 e hanno potuto così fare quadrato attorno all’esecutivo. “Abbiamo tutti i mezzi necessari per attuare il programma di governo”, ha commentato il premier della Romania. A condizione però che la sua squadra sappia “reggere” di fronte alla pressione esercitata dalle centinaia di migliaia di persone che ogni sera, da ormai quasi dieci giorni, si riversano in piazza per gridare la loro rabbia.
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Il provvedimento contestato dalla folla prevedeva una riforma del sistema penale, ed in particolare rendeva più difficile perseguire i reati di corruzione. Si puntava ad esempio ad introdurre una sensibile riduzione delle pene per i casi di di abuso d’ufficio: una scelta che secondo i manifestanti era inaccettabile, soprattutto in un paese nel quale i tassi di corruzione sono estremamente alti.
Ma il dito della folla nelle piazze della Romania è puntato anche e soprattutto sul fatto che, proprio grazie al decreto, il partito socialdemocratico al governo avrebbe di fatto messo il proprio leader Liviu Dragnea al riparo da un procedimento giudiziario che lo vede accusato di aver organizzato un sistema di finte assunzioni. Lo stesso Dragnea ha affermato che la nuova legge non avrebbe rappresentato per lui una “scappatoia”. Mentre il governo aveva difeso il decreto spiegando che esso sarebbe stato utile per alleviare il problema del sovraffollamento delle carceri e per sollevare i tribunali dai troppi procedimenti aperti.
Una posizione che tuttavia non ha convinto i manifestanti, che al contrario chiedono di inasprire controlli e pene per contrastare la corruzione, ormai dilagante in Romani. Basti pensare che solamente in un anno, nel 2015, cinque ministri, 16 deputati, cinque senatori e 97 sindaci o vice-sindaci sono stati posti sotto inchiesta dal dipartimento nazionale anti-corruzione. Nel novembre dello stesso anno, poi, l’allora primo ministro Victor Ponta (anch’egli socialdemocratico) fu costretto a dimettersi dopo essere stato accusato di falso, concorso in evasione fiscale e riciclaggio.
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