L’esercito israeliano ha sparato contro diverse basi dell’Unifil, la missione Onu in Libano. Cresce la tensione tra la comunità internazionale e Israele.
Il Qatar isolato politicamente e geograficamente dai suoi vicini, le cause
C’è un intreccio di interessi politici e finanziari dietro alla decisione di isolare il Qatar, accusato di sostenere il terrorismo.
Per i paesi arabi sunniti si è aperta la grande diaspora. L’Arabia Saudita, l’Egitto, gli Emirati Arabi Uniti, lo Yemen e il Bahrein hanno annunciato il 5 giugno, all’indomani degli attentati di Londra, la rottura delle relazioni diplomatiche con il Qatar, accusato di finanziare e sostenere il terrorismo. La reazione da parte di Doha è stata immediata a particolarmente dura: “Si tratta di una decisione ingiustificata e priva di fondamento”, hanno spiegato le autorità, aggiungendo che essa sarebbe stata assunta “di concerto con l’Egitto” e con il “chiaro obiettivo di nuocere alla sovranità del Qatar”.
Lo strappo arriva a poca distanza dalla discussa visita del presidente degli Stati Uniti Donald Trump a Riyad, capitale saudita, nel corso della quale il leader americano ha lanciato un appello ai paesi musulmani a “cacciare i terroristi”, chiedendo inoltre di isolare l’Iran. Proprio quest’ultimo – teatro nella mattinata del 7 giugno di un attacco al cuore delle proprie istituzioni e in uno dei luoghi sacri della repubblica islamica – rappresenta uno dei principali punti di scontro tra il Qatar e le nazioni del Golfo.
L’attacco hacker e le dichiarazioni (smentite) dello sceicco
Nei quindici giorni precedenti allo “strappo”, si sono registrati scambi di accuse, invettive e notizie contraddittorie tra le parti in causa. Una dura polemica che è stata amplificata dai grandi media arabi, finanziati in gran parte dalle stesse petro-monarchie locali. Tutto è cominciato il 23 maggio, quando l’agenzia di stampa ufficiale del Qatar ha denunciato di essere stata vittima di un attacco hacker, con la conseguente diffusione di notizie false (o comunque smentite con decisione). In particolare, sarebbero stata attribuite affermazioni mai pronunciate ad uno dei dirigenti della nazione araba, Tamim al-Thani.
Nelle frasi incriminate, lo sceicco aveva sottolineato della necessità di confrontarsi con l’Iran, “peso massimo del mondo islamico che non possiamo ignorare”, difendendo al contempo i gruppi armati di Palestina e Libano, Hamas e Hezbollah. Non a caso, Israele ha accolto con soddisfazione la notizia dell’isolamento del Qatar, sperando in un taglio dei finanziamenti all’organizzazione palestinese, considerata di matrice terroristica da Tel Aviv.
Il Qatar e l’Iran legati a filo doppio dal più grande giacimento mondiale di gas naturale
Nonostante le smentite immediate del Qatar, tuttavia, televisioni e giornali sauditi, egiziani e degli Emirati hanno rilanciato a più riprese le presunte affermazioni di al-Thani. Tanto che in poche ore si sono contate decine di migliaia di tweet. In continuità con l’ampia copertura data alla visita di Trump, che ha segnato un riavvicinamento tra Stati Uniti e “paesi arabi moderati”, in netto contrasto con la politica assunta da Barack Obama, caratterizzata dalla volontà di concludere un accordo sul nucleare iraniano. Secondo il nuovo presidente americano, infatti, Teheran non è altro che “un elemento destabilizzatore” nel mondo arabo.
Qatar calls for coordinated South Pars/North Dome output https://t.co/niZthtaj8M
— Interfax Energy (@InterfaxEnergy) 8 maggio 2017
Per Doha, tuttavia, l’Iran rappresenta un alleato fondamentale. Il minuscolo e ricchissimo stato arabo, infatti, non può che puntare a mantenere buone relazioni con Teheran, dal momento che con gli iraniani condivide un interesse primario per il paese: il gas. Le due nazioni sono infatti coproprietarie del più grande giacimento offshore al mondo di gas naturale, il South Pars – North Dome, situato a cavallo tra le rispettive acque territoriali. Una manna finanziaria tale da aver consentito alla monarchia sunnita e alla repubblica islamica sciita di mettere immediatamente da parte le loro distanze.
“Donald Trump è stato il detonatore”
“Il sostegno di Trump ha consentito all’Arabia Saudita di riaffermare la propria leadership nell’area e di attaccare l’Iran. Ha funto da detonatore”, ha osservato al quotidiano francese Libération Hasni Abidi, direttore del Centro di studi e ricerche sul mondo arabo di Ginevra. La giustificazione della lotta al terrorismo è apparsa infatti allo studioso come un argomento pretestuoso. Un comunicato ufficiale saudita accusa il Qatar di “accogliere diversi gruppi estremisti come i Fratelli musulmani, l’Isis e Al Qaeda”. Il che, più ancora che colpire l’emirato, ha messo sullo stesso piano le tre organizzazioni, con grande soddisfazione del presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi che ha da tempo messo la “fratellanza” sulla lista nera delle organizzazioni terroristiche.
“La dottrina dei Fratelli musulmani, molto lontana dal Wahhabismo (movimento politico-religioso saudita, fondato da Mohammed ben Abdelwahhab, ndr), punta ad una compartecipazione al potere che per l’Arabia Saudita è inconcepibile”, ha osservato Karim Sader, docente dell’università di Beirut, in Libano. È vero però che il Qatar ha dato rifugio a numerosi leader delle opposizioni islamiche tunisini, egiziani, siriani e di altre nazioni. Offrendo loro anche una rubrica nel palinsesto della tv qatariana Al Jazeera.
Le accuse ad Al Jazeera di sostenere i Fratelli musulmani
L’emittente rappresenta un altro elemento di discordia nel mondo arabo sunnita. La televisione è accusata di aver aiutato i Fratelli musulmani a farsi strada in Tunisia, Libia ed Egitto, a partire dal periodo della “primavera araba”. Non a caso l’Arabia Saudita ha chiuso lunedì gli uffici di Al Jazeera sul proprio territorio e ritirato la licenza a trasmettere.
#UPDATE Saudi Arabia accused Al-Jazeera of promoting “terrorist groups” and supporting rebels in Yemen https://t.co/VyNxIZH9gx — AFP news agency (@AFP) 5 giugno 2017
Una decisione che Riyad meditava da tempo, avendo a più riprese criticato la linea dell’emittente sulla questione della Siria. La tv qatariana ha infatti seguito la crisi all’ombra della politica del piccolo emirato, che ha anche firmato un importante accordo economico e strategico con la Russia di Putin (sostenitrice del presidente siriano Bashar al-Assad) legato alle sorti del conflitto. Al contrario, l’Arabia Saudita ha sempre fiancheggiato la posizione degli Stati Uniti di contrasto a Damasco.
La possibile mediazione del Kuwait o del sultanato di Oman
In questo scenario così complesso, quella attuale viene considerata comunque come la più grave crisi tra i paesi arabi del Golfo degli ultimi trent’anni. Tuttavia, va detto che già nel 2014 si era arrivati alla rottura diplomatica, con il richiamo per otto mesi degli ambasciatori in Qatar da parte di Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Bahrein. La “pace” arrivò circa un anno dopo, con la consegna da parte di Doha di alcuni oppositori sauditi e il divieto imposto ad un celebre predicatore islamista egiziano, lo sceicco Yusuf al-Qaradawi, di intervenire ad Al Jazeera.
Anche stavolta una mediazione potrebbe calmare le acque. Secondo Sader, a guidarla potrebbero essere il Kuwait o il sultanato di Oman (che per ora sono rimasti neutrali). La Turchia, intanto, si è già dichiarata pronta a favorire il dialogo. Tanto più che il Qatar potrebbe sentirsi sufficientemente tranquillo anche di fronte ai toni di Trump, visto che gli Stati Uniti possiedono sul territorio dell’emirato una base militare di importanza cruciale, la Al Udeid Air Base, nella quale stazionano circa 10mila tra soldati americani e personale civile e alla quale difficilmente Washington potrebbe rinunciare.
“‘Qatar is the only country in the region that allows us to land B-52s…'” https://t.co/stOrO3EgAM
— Dan Zak (@MrDanZak) 7 giugno 2017
Per ora, le sole conseguenze pratiche dell’isolamento del Qatar si sono fatte sentire negli aeroporti, con numerosi voli cancellati, e nello Yemen, dove l’emirato è stato escluso dalla coalizione militare internazionale a guida saudita.
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