
“Fare la cosa giusta” è il motto di Ritter Sport. Siamo stati a Stoccarda, presso lo stabilimento di Waldenbuch, per farci raccontare la sua storia.
Nel Regno Unito 61 aziende hanno sperimentato la settimana lavorativa di quattro giorni anziché cinque. I risultati sono incoraggianti
Nel Regno Unito, 2.900 dipendenti di 61 aziende hanno testato per sei mesi la settimana lavorativa di quattro giorni anziché cinque a parità di stipendio, con risultati incoraggianti. Si tratta dell’esperimento più ampio al mondo condotto finora sull’argomento, che conferma alcune ipotesi già avanzate in studi precedenti: chi riduce l’orario di lavoro concilia meglio vita privata e professionale, ne guadagna in salute e produce lo stesso, in molti casi di più. Alla fine del test, che è iniziato a giugno e si è concluso a dicembre 2022, la maggior parte delle aziende ha dichiarato di voler mantenere questo modello.
Lo studio è stato coordinato dall’organizzazione non profit 4 Day Week Global: la ong senza scopo di lucro ha esteso a livello internazionale l’esperimento di Perpetual Guardian, una società fiduciaria neozelandese con 240 dipendenti che dal 2018 ha adottato con successo la settimana lavorativa di quattro giorni. L’iniziativa prevede che in ogni Paese aderente un gruppo di aziende partecipi a un progetto pilota di sei mesi basato sul modello 100:80:100. In pratica, cento per cento dello stipendio ai dipendenti che però lavorano l’80 per cento delle ore previste (di solito 32) e si impegnano a raggiungere gli stessi risultati che si conseguirebbero lavorando cinque giorni a settimana.
Prima di iniziare il test, le aziende sono state preparate per due mesi con workshop, sessioni di mentoring e coaching, confronto con imprese già collaudate nell’orario ridotto e con centri di ricerca e consulenza. Alle aziende, di settori e dimensioni diversi, è stata data la possibilità di scegliere tra come ridurre il monte ore totali. La quota più alta ha optato per il venerdì libero.
I risultati del rapporto attingono ai dati amministrativi delle aziende, ai dati del sondaggio dei dipendenti, insieme a una serie di interviste condotte durante il periodo pilota, fornendo punti di misurazione all’inizio, a metà e alla fine del processo.
I dati “prima e dopo” mostrano che alla fine del processo il 39 per cento dei dipendenti era meno stressato e il 71 per cento aveva livelli ridotti di burnout, la sindrome da stress lavorativo. Allo stesso modo, i livelli di ansia, affaticamento e problemi di sonno sono diminuiti, mentre la salute mentale e fisica è migliorata. Chi fa la settimana corta – spiegano i ricercatori del Boston College – tende a utilizzare il terzo giorno libero per appuntamenti dal medico o altre commissioni che altrimenti dovrebbe concentrare in una giornata lavorativa.
Per oltre la metà dei dipendenti è stato più facile conciliare il lavoro con la vita sociale e famigliare. Un equilibrio che in Italia si sta provando a costruire anche con le nuove regole sul congedo parentale.
È diminuito sensibilmente anche il numero di dipendenti che hanno lasciato le aziende partecipanti, registrando un calo del 57 per cento durante il periodo di prova.
E poi il risparmio economico: “Non hai idea della quantità di denaro che saremo in grado di risparmiare per l’assistenza dei bambini”, ha commentato il dipendente di una no-profit. Non si tratta di un caso isolato: secondo il Guardian, molte famiglie inglesi hanno scoperto che lavorando a tempo pieno mettono da parte meno soldi che lavorando part-time.
Per molti, gli effetti positivi di una settimana lavorativa di quattro giorni valevano più del loro peso in denaro. Il 15 per cento dei dipendenti ha affermato che nessuna somma di denaro li indurrebbe ad accettare un orario di cinque giorni oltre i quattro giorni settimanali a cui erano ormai abituati.
Un dato sorprendente tra le altre metriche misurate nel test riguarda il fatturato delle imprese, rimasto sostanzialmente invariato, con un aumento medio dell’1,4 per cento. Per avere un quadro più chiaro dell’impatto della riduzione dell’orario sulla produttività, i ricercatori hanno confrontato il fatturato dei sei mesi di prova con un periodo simile degli anni precedenti, riscontrando in media un aumento dei ricavi del 35 per cento.
Il dato, almeno in Europa, è confermato dalle ultime statistiche dell’Ocse. I Paesi dell’Europa occidentale che lavorano meno ore all’anno (Germania, Danimarca, Austria e Svizzera) presentano tassi di produttività più alti.
Anche per questo, si suppone, delle 61 aziende che hanno partecipato 56 stanno proseguendo con i quattro giorni lavorativi a settimana (92 per cento). Per 18 di queste, il cambiamento sarà permanente.
“Abbiamo anche chiesto informazioni sul consumo di energia – scrivono gli autori dello studio – ma poiché molte aziende non sono state in grado di fornire tali dati, questi non sono stati inclusi”.
Quello che sappiamo, è che introdurre la settimana lavorativa di quattro giorni nel Regno Unito porterebbe a un calo delle emissioni di CO2 pari a 127 milioni di tonnellate all’anno entro il 2025. In pratica, l’equivalente di togliere dalla circolazione l’intero parco auto privato del Paese.
Nonostante al test vengano riconosciuti la qualità di progettazione e il merito di includere organizzazioni di vari settori, qualcuno invita alla cautela. Si sostiene infatti che le aziende partecipanti siano di dimensioni troppo piccole e, in generale, già inclini a sostenere programmi di lavoro più brevi per rappresentare uno standard.
Gli autori del report, comunque, considerano questo esperimento un punto di partenza. Non è più tempo di chiedersi perché abbia senso accorciare la settimana lavorativa, scrivono. Il punto ora è capire come esportare il modello inglese nel maggior numero di Paesi possibile.
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