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Oltre al benessere dei dipendenti, c’è un’altra argomentazione a favore della settimana lavorativa di quattro giorni: la riduzione delle emissioni di CO2.
Una settimana lavorativa di quattro giorni a parità di stipendio? Svariate aziende stanno iniziando a muoversi in questa direzione, tra chi ne vanta i benefici in termini di produttività e chi invece punta l’attenzione sul migliore equilibrio tra lavoro e vita privata. Un nuovo studio britannico suggerisce che questa formula può dare un assist importante anche alla lotta contro i cambiamenti climatici.
Il report è stato commissionato a un team di esperti dal collettivo Platform, promotore di una campagna per l’accorciamento dell’orario di lavoro. Stando all’analisi, introdurre la settimana lavorativa di quattro giorni nel Regno Unito porterebbe a un calo delle emissioni di CO2 pari a 127 milioni di tonnellate all’anno entro il 2025 (cioè il 21,3 per cento rispetto ai livelli odierni). È l’equivalente di azzerare l’intera carbon footprint della Svizzera o, per usare un altro termine di paragone, di togliere dalla circolazione 27 milioni di veicoli, ovvero l’intero parco auto privato del Regno Unito.
Risultati simili sarebbero figli della diminuzione del consumo di energia elettrica in azienda e dei viaggi casa-ufficio, ma anche del maggiore tempo a disposizione per la famiglia, lo sport, la lettura e altre attività dal ridotto impatto sul clima. Il tema diventa dirimente soprattutto ora che il Regno Unito si è prefissato di sforbiciare le emissioni almeno del 68 per cento entro il 2030, rispetto ai livelli del 1990, per poi centrare l’obiettivo della carbon neutrality entro il 2050.
Dall’altra parte del Pianeta, in Nuova Zelanda, la prima ministra Jacinda Ardern ha già manifestato una certa apertura verso l’idea della settimana lavorativa di quattro giorni. La multinazionale Unilever ha colto la palla al balzo lanciando a dicembre 2020 una sperimentazione di durata annuale. Dopo questo esperimento pilota, ci saranno più elementi per ponderare un’eventuale estensione ai 155mila dipendenti in tutto il mondo.
Un simile progetto lanciato da Microsoft in Giappone prima della pandemia si è concluso con un aumento della produttività pari al 40 per cento, andato di pari passo con una sforbiciata del 23 per cento dei consumi di elettricità e del 59 per cento alle stampe di documenti cartacei. Negli scorsi mesi anche il governo spagnolo ha ventilato quest’ipotesi. Nicola Sturgeon, prima ministra scozzese, l’ha inserita nel programma con cui si è presentata alle elezioni del 6 maggio che l’hanno riconfermata per un secondo mandato.
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