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Con l’aumento della domanda di carne, cresce anche quello di mangimi a base di soia, con effetti drammatici sugli animali e l’ambiente.
Più la domanda di carne aumenta, più cresce la produzione di mangimi a base di soia destinati agli allevamenti intensivi. Più la richiesta globale di carne e soia aumentano, più lo sfruttamento degli animali si espande e la deforestazione prolifera. Il meccanismo perfettamente oliato dell’industria della carne sembra lontano e inarrestabile, eppure a far funzionare questi ingranaggi, insieme all’Europa, c’è anche l’Italia con i suoi consumatori.
Secondo il Wwf, la soia è il secondo maggiore driver di deforestazione al mondo dopo l’allevamento bovino. Come abbiamo documentato attraverso la nostra inchiesta, in Brasile – maggiore produttore al mondo di soia – regioni come Pantanal e Cerrado subiscono la deforestazione illegale finalizzata a fare spazio alle piantagioni di soia con un ritmo di almeno un incendio al giorno. Per comprendere questa avanzata incessante, basta pensare che la produzione di soia dal 1950 ad oggi è aumentata di 15 volte superando le 300 milioni di tonnellate.
Questo legume dagli anni Novanta è al centro della produzione di farine destinate all’alimentazione degli animali negli allevamenti intensivi.L’80 per cento della soia prodotta nel mondo, infatti, serve a produrre farine e di queste il 97 per cento è utilizzato come mangime. Il suo successo è direttamente proporzionale a due fenomeni coincisi nell’arco dell’ultimo trentennio: l’aumento esponenziale del consumo di carne e il divieto di impiegare proteine animali nei mangimi degli allevamenti a seguito della diffusione del morbo della mucca pazza.
Per le sue proprietà proteiche, la soia si è imposta sul mercato come sostituto ideale nei mangimi utilizzati negli allevamenti di tutto il mondo e la sua coltivazione è letteralmente esplosa. Questa avviene prevalentemente in monoculture, una modalità che richiede un impiego elevato di pesticidi responsabili di inquinare il terreno e le falde freatiche ma anche di danneggiare le piante e gli animali che se ne cibano.
La Cina è il più grande consumatore di soia e importa il 60 per cento delle farine in commercio al mondo, l’Europa, con un consumo medio pro capite di 61 kg ogni anno, è il secondo maggiore importatore di soia al mondo ma il primo importatore della sua farina. In particolare, è Bunge la principale multinazionale a esportare dal Brasile verso Cina e Europa tonnellate di soia che vengono lavorate e ridotte in farine in loco per alimentare miliardi di animali allevati e macellati sul territorio.
Come accade però per l’industria agroalimentare, che vende carne proveniente da allevamenti di bovini che pascolano su territori deforestati – spesso anche illegalmente come nel caso di Jbs di cui abbiamo già parlato –, anche la produzione della soia lascia dietro di sé una scia di devastazione. Secondo un’inchiesta internazionale coordinata da The bureau of investigative journalism (Tbij), la stessa Bunge ha comprato soia da almeno sette fornitori in Brasile, alcuni in zona amazzonica altri nel Cerrado, collegati a una deforestazione complessiva di oltre 92 mila ettari tra il 2015 e il 2020.
La soia venduta da Bunge arriva anche nel nostro Paese. L’Italia è il terzo maggiore importatore in Ue di farina di soia, su cui basa l’alimentazione del proprio sistema di allevamento intensivo: ne utilizza ogni anno 3,7 milioni di tonnellate come mangime, di cui solo 689 mila tonnellate sono di origine nazionale, tutto il resto – 3,2 milioni di tonnellate – è importato. Solo per l’importazione di soia, secondo i calcoli Etifor, l’Italia ha indotto una deforestazione media pari a circa 16mila ettari di terreni all’anno.
Ma dove finiscono tutte queste tonnellate di soia? In Italia nel 2019 sono stati prodotti 14,7 milioni di tonnellate di mangimi, destinati soprattutto agli allevamenti di polli e galline ovaiole. In particolare, in Italia secondo l’Istat l’industria della carne ha alimentato tramite soia numerose specie di animali macellati: 573,845 milioni di polli da carne e galline ovaiole e 29,431 milioni di tacchini solo nel 2020, 5,904 milioni di suini e 1,496 milioni di bovini nel 2021.
Il cerchio si chiude e i dati parlano chiaro: la soia utilizzata come principale mangime sul pianeta per gli animali impiegati negli allevamenti intensivi alimenta un circolo vizioso di distruzione che favorisce lo sfruttamento degli animali da parte dell’industria della carne. Aziende, governi e Unione europea sono chiamati a riformare un sistema che provoca danni agli animali, all’ambiente e all’uomo riducendo il sostegno a un’industria che importa solo sofferenza.
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