La scomparsa delle spugne: a Kerkennah per conoscere i depuratori naturali del mare

Le spugne come depuratori degli habitat marini. La loro sempre più difficile reperibilità si traduce in danni irreversibili per l’ambiente.

Le isole Kerkennah sono un arcipelago del golfo di Gabes nella regione di Sfax in Tunisia, celebre per l’esportazione delle sue spugne in tutto il Mediterraneo. O almeno, così era fino a qualche tempo fa, dal momento che la loro presenza si è ridotta sensibilmente negli ultimi anni e oggi rischia di sparire del tutto. Alcune tecniche di pesca moderne e l’inquinamento del mare minacciano la loro sopravvivenza e riproduzione, con conseguenze sull’ambiente dannose e spesso sottovalutate.

barche a Kerkennah
Kerkennah, barche di pescatori sulla sabbia per la bassa marea © Aniello D’Ambrosio

I depuratori naturali del mare

Le spugne marine (Porifere) sono infatti dei depuratori naturali del mare. Si tratta di organismi animali pluricellulari ma con una struttura semplice, caratterizzate da pori e canali tramite i quali filtrano l’acqua trattenendo le sostanze di cui si nutrono. Nascono da uova come larve, iniziano a trasformarsi dopo cinque-sei giorni e impiegano due anni per raggiungere la taglia ottimale per la pesca, tra i quaranta e i cinquanta centimetri di circonferenza. Le spugne adulte sono in grado di filtrare in un solo giorno una quantità d’acqua equivalente a circa mille volte il loro volume, trattenendo fino all’ottanta per cento di sostanze inquinanti. Così facendo favoriscono il recupero e la conservazione di ecosistemi a rischio di degrado, svolgendo un ruolo fondamentale di depurazione degli habitat marini. Il progetto SponGES cofinanziato dall’Unione europea ha evidenziato come le spugne siano fondamentali nella lotta ai cambiamenti climatici negli oceani (dove viene assorbito circa un terzo della CO2).

spugne
Le spugne marine sono utilizzate per lavare i piatti e le grandi superfici come i pavimenti © Aniello D’Ambrosio

Le spugne sono infatti responsabili annualmente del sequestro di circa 48 milioni di tonnellate di silicio, elemento fondamentale nell’ecosistema marino a patto che la sua quantità disciolta nelle acque mantenga un preciso equilibrio. Lo scioglimento dei ghiacciai e altre perturbazioni legate al cambiamento climatico hanno alterato il ciclo marino del silicio, determinando uno squilibrio tra emissioni ed immissioni a favore di queste ultime. Attraverso uno studio del team di scienziati del progetto SpoGES si è scoperto che proprio le spugne marine potrebbero contribuire notevolmente al mantenimento delle giuste quantità di silicio nei mari, aumentando la capacità di assorbimento di questa sostanza negli oceani.

Spugne da museo

Passeggiando per Kerkennah oggi è difficile credere sia stato il centro di un commercio di spugne così florido come documentato dagli archivi storici. In effetti è quasi impossibile vedere delle spugne, se non al piccolo museo dell’isola: qualcosa che fino a pochi anni fa abbondava in ogni porto, oggi è relegato dietro vetrine in cui è esposto come reliquia del passato. Alcuni pescatori più giovani, dediti ormai quasi interamente alla pesca di polpi, non hanno mai visto una spugna né conoscono le tecniche che i loro colleghi poco più anziani utilizzavano abitualmente fino a qualche anno fa.

museo delle spugne
Teca del museo “d’El Abassia” a Kerkennah: un pescatore di spugne utilizza la tecnica dell’immersione a mani nude © Aniello D’Ambrosio

Tra i pontili del porto di Kraten, a nord delle Kerkennah, qualcuno che ricorda con nostalgia la pesca delle spugne c’è: Mohamed Suissi ha una cinquantina d’anni e fa il pescatore da quando era bambino, ma l’ultima spugna sostiene di averla presa una decina di anni fa. “Il mare è malato” sentenzia indicando una petroliera in fondo al porto. A inizio Novecento la produzione annuale di spugne in Tunisia si aggirava intorno alle 150 tonnellate, per poi diminuire progressivamente, fino all’attuale rischio di scomparsa.

Perché le spugne stanno sparendo

L’inquinamento marino è sicuramente un fattore che ha fortemente ridotto la riproduzione di spugne, creando un circolo vizioso dato che queste potrebbero invece aiutare a ripulire il mare. A ciò si aggiungono però le nuove tecniche di pesca, che raschiando indistintamente i fondali non consentono alle spugne di avere il tempo di crescere a sufficienza. Mohamed utilizzava uno dei principali metodi di pesca sopravvissuti per secoli: camminare scalzi tastando con i piedi il fondale per trovare le spugne migliori. Altre tecniche utilizzate nei fondali più profondi sono l’immersione, o l’uso del tridente – quest’ultima soprattutto dai pescatori siciliani che arrivavano fin lì appositamente per le spugne tunisine. Oggi nessuna di queste tecniche sembra essere utile, e il prezzo delle spugne è triplicato negli ultimi cinque anni a causa della loro sempre più difficile reperibilità. Per questo Mohamed ne conserva gelosamente in casa una gigante e la mostra orgoglioso: l’ha pescata diversi anni fa, e ogni tanto ne taglia un pezzo per utilizzarlo nelle pulizie della casa, dai piatti alle grandi superfici.

pescatore di spugne
Mohamed Suissi, pescatore, su uno dei pontili del porto di Kraten dopo una giornata a pesca di polpi © Aniello D’Ambrosio

Un ruolo insostituibile da salvaguardare

Prodotto commerciale sin dai tempi antichi, le spugne marine diventano importante merce di scambio nel Mediterraneo a partire dal sedicesimo secolo. La diffusione delle spugne sintetiche negli ultimi decenni ha distolto l’attenzione sul progressivo declino della produzione di quelle naturali: se come prodotti commerciali possono essere rimpiazzati, però, si tende a ignorare il fatto che non vale lo stesso per il prezioso ruolo che svolgono nei nostri mari.

Anche l’Italia ha visto una brusca diminuzione della presenza di spugne, soprattutto in alcuni tratti della costa adriatica dove un tempo abbondavano. In altre aree del Mediterraneo che stanno subendo lo stesso destino sono in atto progetti come Spo-Plastic, finanziato da Pure ocean fund, che studia la capacità delle spugne di rimuovere le microplastiche dalla propria colonna d’acqua. I risultati di ricerche come questa potrebbero spingere a salvaguardare con più attenzione questo patrimonio naturale in grado di ridurre l’inquinamento da plastica nel mare, e a replicare progetti simili nelle coste italiane più a rischio.

pescatore di spugne
Mohamed nella cucina della sua abitazione: spugne così grandi sono sempre più rare © Aniello D’Ambrosio

Sostenibilità e non solo

Le spugne marine sono considerate prodotti sostenibili poiché se durante la pesca si presta attenzione a non rimuoverne la base, ne ricrescono in poco tempo delle nuove. Una pesca attenta non solo non comprometterebbe per sempre la riproduzione di questa specie: secondo alcuni studi, se effettuata con regolarità porterebbe nel tempo allo sviluppo di spugne più sane e più grandi. L’urgenza di dare la giusta attenzione al problema della possibile scomparsa delle spugne nel Mediterraneo diventa evidente quando si comprende l’importanza del ruolo che svolgono nei nostri mari e i danni irreversibili sull’ambiente a cui altrimenti andremmo incontro.

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