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Stati Uniti, le proteste per il diritto all’aborto riempiono le città
Migliaia di persone si sono radunate nelle principali città degli Stati Uniti sabato 2 ottobre per protestare contro la legge sull’aborto recentemente introdotta in Texas e considerata come la più restrittiva del Paese. Secondo l’agenzia di stampa Reuters le manifestazioni hanno interessato 660 città americane, ma le marce principali si sono svolte ad Austin – la capitale del
Migliaia di persone si sono radunate nelle principali città degli Stati Uniti sabato 2 ottobre per protestare contro la legge sull’aborto recentemente introdotta in Texas e considerata come la più restrittiva del Paese.
Secondo l’agenzia di stampa Reuters le manifestazioni hanno interessato 660 città americane, ma le marce principali si sono svolte ad Austin – la capitale del Texas, dove ha sede il Congresso statale – e a Washington, D.C. nei pressi della Corte Suprema.
La controversa legge texana
La normativa in questione, firmata dal governatore repubblicano Greg Abbott lo scorso maggio, è entrata in vigore il 1° settembre 2021. Questa proibisce alle donne texane di abortire a partire da quando è possibile monitorare il battito cardiaco del feto, evento che generalmente si verifica a partire dalla sesta settimana di gravidanza quando molte donne ancora non sanno di essere incinte.
In Texas tra l’80 e il 90 per cento degli aborti viene effettuato dopo la sesta settimana dal concepimento, e la nuova legge è quindi considerata un blocco quasi totale alla possibilità di interrompere volontariamente una gravidanza.
Anche il modo in cui la legge è stata formulata è considerato particolarmente controverso: le autorità statali non hanno un ruolo formale nell’assicurare il rispetto delle nuove linee guida, ma viene data a tutti i cittadini la possibilità di denunciare una o più persone che si crede siano state coinvolte in una procedura di aborto.
La donna che intende abortire non può essere accusata, ma possono invece essere ritenuti responsabili tutti coloro che collaborano: i medici e le cliniche ospedaliere, ma anche i taxisti che portano la donna in ospedale o gli amici che la aiutano a organizzare il tutto. In cambio, i cittadini che denunciano il mancato rispetto della legge ricevono un compenso di 10mila dollari se vincono la causa.
Agendo come un deterrente, questo meccanismo ha quindi costretto la grande maggior parte degli ospedali texani a interrompere le procedure di aborto. Al momento non si hanno notizie di cause intentate per denunciare cittadini considerati “complici” dell’intervento.
Le proteste
Il 2 ottobre migliaia di persone si sono riversate nelle principali città americane per protestare contro la svolta conservatrice del Texas e promuovere il diritto costituzionale all’aborto, sancito nel 1973 dalla storica sentenza Roe v Wade della Corte Suprema.
A Washington, D.C. i manifestanti hanno marciato verso la sede della Corte, poco distante dal Congresso e dalla Casa Bianca. Ad Austin, Texas, in migliaia si sono radunati nei pressi del Campidoglio, sede del Congresso statale.
Le manifestazioni si sono svolte in occasione del quinto anniversario della Women’s March, tradizione avviata nel 2017 quando quattro milioni di persone si erano riunite per protestare contro gli atteggiamenti sessisti dell’allora neo-presidente Donald Trump. Le proteste sono continuate anche negli anni successivi, sebbene con una partecipazione più ridotta.
I recenti cambiamenti negli equilibri interni alla Corte Suprema – attualmente formata da sei giudici considerati conservatori e tre progressisti – preoccupano gli attivisti, che temono l’introduzione di ulteriori restrizioni nell’accesso all’interruzione di gravidanza. Il prossimo 1° dicembre, per esempio, la Corte deciderà in merito alla costituzionalità una legge adottata in Mississippi che vieta l’aborto dopo 15 settimane dal concepimento.
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