La nave cargo Rubymar colpita alcune settimane far nel mar Rosso meridionale da parte delle milizie Houthi si è inabissata. Le perdite di combustibile e il carico di fertilizzanti fanno temere il peggio per la barriera corallina.
Statoil e altre compagnie petrolifere abbandonano l’Artico
Quando la Statoil, la compagnia petrolifera norvegese, ha deciso di acquistare tre licenze per condurre esplorazioni petrolifere al largo delle coste della Groenlandia occidentale, nel gennaio 2012, il prezzo di un barile di petrolio si aggirava intorno ai 110 dollari. L’Artico stava diventando un’attrazione reale per le compagnie di mezzo mondo, alla ricerca di gas
Quando la Statoil, la compagnia petrolifera norvegese, ha deciso di acquistare tre licenze per condurre esplorazioni petrolifere al largo delle coste della Groenlandia occidentale, nel gennaio 2012, il prezzo di un barile di petrolio si aggirava intorno ai 110 dollari. L’Artico stava diventando un’attrazione reale per le compagnie di mezzo mondo, alla ricerca di gas e petrolio.
Anche la situazione geopolitica incerta e lo scioglimento dei ghiacci sempre più rapido erano un incentivo in tal senso. Dì lì a poco l’organizzazione ambientalista Greenpeace lanciava la petizione Save the Arctic per chiedere alla comunità internazionale di trasformare l’intera area intorno al polo Nord in una riserva naturale, in un santuario protetto dove le uniche azioni consentite fossero quelle di ricerca, ma per la scienza. L’obiettivo era raggiungere un milione di firme.
A soli tre anni di distanza, lo scenario globale ha subito un brusco cambiamento. Se la situazione geopolitica e quella climatica sono addirittura peggiorate, il prezzo di un barile di petrolio è calato vertiginosamente scendendo sotto i 50 dollari al barile (mai così economico dal 2009) e la petizione Save the Arctic ha superato le 6,5 milioni di firme e l’obiettivo oggi è arrivare a 10 milioni.
BIG NEWS: 3 major oil companies give up Arctic exploration in West Greenland! Don’t return: http://t.co/6wbeatBitH pic.twitter.com/yS4HqlXwRV
— Save The Arctic (@savethearctic) 14 Gennaio 2015
In meno di 36 mesi sfruttare l’Artico per estrarre combustibili fossili è diventato troppo costoso e troppo rischioso. Così non stupisce la notizia che la stessa Statoil, la compagnia più attiva a livello di esplorazioni nell’Artico nel 2014, abbia deciso di ritirarsi senza trivellare nemmeno un pozzo. Insieme a lei anche la francese Gdf Suez e la danese Dong Energy. A dare la notizia è stato il quotidiano danese Politiken (la Groenlandia dipende politicamente dalla Danimarca) e la conferma è arrivata anche dalla testata di settore Bloomberg. In precedenza anche la danese Maersk aveva deciso di lasciar perdere e abbandonare le attività in Groenlandia orientale.
Statoil ha pensato bene di concentrarsi nel più vicino mare di Barents, secondo quanto fatto sapere dal portavoce Knut Rostad: “Quando dobbiamo valutare le differenti licenze del nostro portfolio, guardiamo alla situazione globale e diamo priorità ai progetti che hanno il potenziale migliore”.
James Henderson, uno dei ricercatori più autorevoli dell’Oxford institute for energy studies, ha affermato durante un’intervista a Bloomberg che “le esplorazioni artiche quasi sicuramente verranno significativamente ridimensionate per il resto di questo decennio”. La speranza è che allora l’Artico sarà già un santuario protetto e a disposizione di tutti per sempre, e non di poche compagnie interessate solo al profitto di breve durata. La conferenza sul clima che si terrà a Parigi a dicembre potrà segnare la svolta definitiva.
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