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Come è nato, come funziona e di cosa si occupa il Parlamento europeo
In vista delle elezioni dell’8-9 giugno, è utile capire meglio com’è organizzato il Parlamento europeo, di cosa si occupa e come si è evoluto nel tempo.
A giugno si voterà per rinnovare i membri del Parlamento europeo. Nei ventisette paesi membri dell’Ue, tutti i cittadini aventi diritto al voto saranno chiamati perciò alle urne, più o meno negli stessi giorni, per esprimere le loro preferenze. Ma non è sempre stato così: non sempre, nella storia, le assemblee comunitarie sono state elette direttamente dal popolo. Non sempre hanno goduto delle stesse prerogative. E il ruolo legislativo, ovvero l’apporto nella produzione delle normative europee (principalmente regolamenti e direttive), si è evoluto nel corso del tempo.
- Quando è nato il Parlamento europeo
- Le prime elezioni a suffragio diretto nel 1979
- Perché il Parlamento europeo ha tre sedi diverse
- L’organizzazione interna del Parlamento europeo
- Di cosa si occupa il Parlamento europeo
- I sistemi elettorali non sono identici tra i paesi membri
Quando è nato il Parlamento europeo
Il primo embrione di Parlamento europeo è nato dall’Assemblea della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (Ceca). Era il 18 aprile del 1951 e quest’ultima veniva istituita con il Trattato di Parigi, firmato da Belgio, Francia, Repubblica Federale di Germania, Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi.
Successivamente, nel 1957, con i Trattati di Roma vengono create la Comunità economica europea (Cee) e la Comunità europea dell’energia atomica (Ceea, nota anche come Euratom). L’Assemblea diviene così comune alle tre comunità sovranazionali, ed è in questo momento che cambia nome e forma. Viene battezzata “Assemblea parlamentare europea” e la composizione viene definita stabilita in 142 membri: coloro cioè che parteciperanno alla prima seduta, a Strasburgo, il 19 marzo 1958. Occorrerà aspettare altri quattro anni, fino al 1962, affinché venga introdotto il nome attuale di “Parlamento europeo”.
Fino a quel momento però, i componenti erano scelti tra deputati e senatori dei parlamenti nazionali. Si trattava perciò di un organismo non eletto direttamente dai cittadini, anche se la “democraticità” era in qualche modo garantita (appunto indirettamente) dal fatto che gli europarlamentari erano, per lo meno, persone elette nei propri paesi.
Il “deficit di legittimità” dal punto di vista della rappresentanza era però evidente. Anche perché tutti i membri, di fatto, esercitavano un doppio mandato. Difficile, inoltre, aumentare i poteri di un’assemblea non eletta a suffragio diretto. Per questo, in occasione del Summit di Parigi del 9 e 10 dicembre 1974, si decide che le prime elezioni avrebbero dovuto essere organizzate “a partire dal 1978”.
Le prime elezioni a suffragio diretto nel 1979
Un anno più tardi, lo stesso Parlamento adotta un progetto di convenzione tra i paesi membri, al fine di adottare le regole necessarie per procedere alla tornata. Ci vorrà però un anno abbondante di discussioni, anche complesse, per raggiungere un accordo che arriva nella seconda metà del 1976. Le successive ratifiche da parte dei parlamenti nazionali fanno entrare in vigore la convenzione nel 1978, e le prime elezioni sono organizzate il 7 e il 10 giugno del 1979.
Nel frattempo, però, le adesioni alle Comunità europee da parte di Danimarca, Irlanda e Regno Unito (nel 1973) impongono di rivedere il totale dei membri del Parlamento. I seggi sono così aumentati a 198. Allo stesso modo, quando nel 1981 aderisce la Grecia, vengono aggiunti 24 eurodeputati ellenici. Il terzo allargamento arriva quindi nel 1986, con gli ingressi di Spagna e Portogallo, e il relativo aumento dei seggi da 434 a 518.
Un ulteriore aumento è derivato poi dalla riunificazione tedesca, che ha modificato il totale degli abitanti della nazione europea. Quindi il corposo quarto allargamento ha portato a un nuovo aumento a 626. Nel 2004 si è votato poi per la prima volta sulla base di una nuova ripartizione, fondata su un numero massimo di eurodeputati, fissato a 732; nel 2007 le adesioni di Bulgaria e Romania portarono a un numero provvisorio di 785, successivamente ridotto a 726.
Altre ulteriori modifiche, nonché ricalcoli legati all’andamento demografico dei paesi membri, ha portato quindi al risultato attuale. L’articolo 14, paragrafo 2, del Trattato sull’Unione europea (TUE), dispone che il Parlamento è composto da un massimo di 751 rappresentanti dei cittadini dell’Unione (750 deputati più il presidente). Secondo quanto deciso dal Consiglio europeo del 22 settembre 2023, alle prossime elezioni in palio ci sono 720 seggi, ripartiti come segue.
Perché il Parlamento europeo ha tre sedi diverse
La sede principale del Parlamento europeo si trova a Strasburgo, luogo nel quale si svolge la maggior parte delle riunioni. Ma esistono anche altre due sedi: una a Bruxelles e una nel Lussemburgo.
Come spiega lo stesso Parlamento, all’inizio, nel 1951, le istituzioni della Ceca avrebbero dovuto avere sede nella capitale belga. I paesi fondatori erano d’accordo, ad eccezione però proprio del Belgio, che avrebbe preferito Liegi. Dal momento che occorreva comunque l’unanimità per prendere una decisione definitiva, si optò per il Lussemburgo. Il problema nacque però dal fatto che nello stato europeo non esisteva un emiciclo disponibile per poter ospitare l’Assemblea parlamentare. Quello più prossimo era, appunto, a Strasburgo (e apparteneva al Consiglio d’Europa). Per questo si scelse la città alsaziana, anche in quanto simbolo della riconciliazione franco-tedesca: è lì che, dal 1952, si riuniscono gli europarlamentari.
Dopo la nascita della Cee, cinque anni dopo, numerose istituzioni europee cominciarono però a migrare a Bruxelles, ad eccezione di quelle finanziarie e giudiziarie. L’Assemblea seguì parzialmente la tendenza nel 1962, per ragioni pratiche, anche se il “trasloco” in Belgio sarà riconosciuta ufficialmente solo nel 1989. In pratica, sebbene le sessioni plenarie continuassero ad essere ospitate dalla sede di Strasburgo, potevano esserne organizzate alcune supplementari a Bruxelles.
Presso la sede del Lussemburgo, infine, è presente il segretariato generale.
L’organizzazione interna del Parlamento europeo
Il Parlamento europeo si dota di un presidente, eletto per due anni e mezzo (con mandato rinnovabile una volta): è lui che rappresenta l’istituzione all’esterno e nelle relazioni con gli altri organi dell’Ue. Come accade nei parlamenti nazionali, inoltre, sovrintende alle discussioni in seduta plenaria ed è garante del rispetto del regolamento.
Ad aiutare il presidente ci sono quattordici vice-presidenti. Assieme, costituiscono l’Ufficio di presidenza. Sempre il presidente fa parte poi della Conferenza dei presidenti, unitamente ai presidenti dei gruppi politici. Questi ultimi sono formazioni transnazionali costituite in base alle affinità politiche da almeno 23 eurodeputati ed eurodeputate che siano eletti in almeno un quarto degli stati membri.
Esistono poi dei questori, responsabili delle attività amministrative e finanziarie dei deputati. I lavori sono poi distribuiti in 20 commissioni, tre sottocommissioni e 39 delegazioni, ciascuna dotata di un proprio ufficio di presidenza.
La seduta plenaria si riunisce undici volte l’anno (tutti i mesi eccetto agosto) e dura quattro giorni (dal lunedì al giovedì). A partecipare sono anche Commissione e Consiglio: ciò al fine di facilitare il processo decisionale.
Di cosa si occupa il Parlamento europeo
Il Parlamento europeo è la sola istituzione eletta direttamente dalla popolazione. Per questo le sue funzioni sono cresciute nel corso del tempo e sono riassumibili in tre pilastri: quello legislativo, quello di bilancio e quello di controllo sull’esecutivo europeo.
Il potere legislativo
Assieme al Consiglio europeo, i parlamentari contribuiscono ad adottare gran parte delle decisioni dell’Ue. La procedura legislativa ordinaria (un tempo nota come procedura di codecisione) prevede che le proposte elaborate dalla Commissione siano approvate sia dal Parlamento che dal Consiglio. Ciò pone le due istituzioni sullo stesso piano (co-legislatori), anche se, appunto, solo la prima è eletta. Esse si occupano di oltre 40 macro-temi: dalla governance economica al commercio estero, passando per la sicurezza, la giustizia, l’energia, i trasporti, l’ambiente o ancora la Politica agricola comune e la protezione dei consumatori.
Anche gli eurodeputati dispongono però di un diritto di iniziativa legislativa: possono chiedere alla Commissione, perciò, di proporre alcuni testi. Il progetto deve però essere preparato da una delle 23 commissioni parlamentari ed essere poi votato dalla maggioranza dei deputati. La Commissione europea non è però obbligata a dare corso all’iniziativa.
Il potere di bilancio
In termini di bilancio, il Parlamento forma, di nuovo assieme al Consiglio, l’autorità di bilancio europea (con pari poteri, a seguito dell’approvazione del Trattato di Lisbona). Entrambe le istituzioni votano il progetto di bilancio preparato dalla Commissione, ma il Parlamento esamina ogni anno l’esecuzione del bilancio stesso.
I poteri di controllo
In capo al Parlamento europeo ci sono poi alcune funzioni di controllo. Innanzitutto, il presidente della Commissione europea è eletto proprio dall’Aula, su proposta del Consiglio europeo. Dal 2014, grazie a un’interpretazione estensiva del Trattato di Lisbona, è stato introdotto in particolare il sistema degli Spitzenkandidat, ma nel 2019 fu aggirato con la designazione di Ursula von der Leyen.
Similmente, i commissari europei sono designati dal Consiglio e devono ottenere l’approvazione del Parlamento, previe audizioni al cui termine è possibile rifiutare l’investitura. Fu il caso di Rocco Buttiglione, nel 2004, la cui nomina fu bloccata per vie delle posizioni controverse del politico italiano sull’omosessualità e la famiglia.
Il Parlamento può inoltre adottare mozioni di censura contro la Commissione, il che ne comporta le dimissioni in blocco, anche se non è mai accaduto finora. L’organismo esecutivo di Bruxelles è inoltre tenuto a portare regolarmente all’attenzione del Parlamento rapporti sul proprio operato.
È possibile inoltre creare commissioni temporanee d’inchiesta, commissioni speciali per trattare questioni specifiche. Il Parlamento può poi domandare spiegazioni alla Commissione e al Consiglio, in forma scritta o orale, nonché ricevere petizioni da parte dei cittadini. In casi più gravi, l’Aula può quindi adire la Corte di giustizia dell’Unione europea.
I sistemi elettorali non sono identici tra i paesi membri
Il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea del 1957, le successive modifiche, il Trattato sull’Unione europea del 1992 (noto anche come Trattato di Maastricht) e il Trattato di Lisbona del 1997 pongono dei principi in materia di elezioni. Fondamentalmente, lo scrutinio permette di scegliere i membri del Parlamento europeo e, ancorché indirettamente, il presidente della Commissione. Quest’ultimo è infatti nominato successivamente e attraverso un meccanismo particolare.
La parziale autonomia degli stati nel definire le regole dello scrutinio
Perché allora i partiti europei (nei quali confluiscono quelli nazionali) presentano alcuni “candidati alla presidenza”? Perché il metodo utilizzato è quello dello Spitzenkandidat, termine tedesco che designa appunto la persona che, in caso di vittoria, quel partito proporrà come capo dell’organismo esecutivo di Bruxelles.
In Italia, le elezioni europee si svolgeranno l’8 e il 9 giugno 2024. Negli altri stati membri le date sono variabili: in alcuni casi si comincerà già giovedì 6 giugno. Nel nostro paese, i seggi saranno aperti dalle 15 alle 23 il sabato e dalle 7 alle 23 la domenica. Negli altri stati membri gli orari sono scelti liberamente. È questa la caratteristica principale delle elezioni europee, che le differisce da ogni tornata nazionale: ciascuno dei ventisette paesi membri ha facoltà di fissare in modo autonomo parti delle regole dello scrutinio, a condizione che il suffragio sia universale e che lo scrutinio sia proporzionale plurinominale.
Preferenze, classifiche o liste bloccate per eleggere gli eurodeputati
Ciò determina differenze anche sostanziali tra stato e stato. In Irlanda e Malta, si tratta di uno scrutinio a voto unico trasferibile (noto come sistema di Hare): concretamente, l’elettore vota stilando una classifica di candidati della sua circoscrizione, posti in ordine di preferenza, apponendo la cifra “1” a fianco alla prima scelta, “2” accanto alla seconda e così via. Al momento dello spoglio, viene effettuato un calcolo sulla base dei voti validi al fine di determinare la quota di preferenze utili per ottenere un seggio.
In Italia, Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Svezia, Croazia e Paesi Bassi l’elettore può invece attribuire dei voti indicando le proprie preferenze, a condizione che siano presenti nella stessa lista. Nel Lussemburgo, al contrario, è possibile votare per candidati che si presentano per partiti diversi. Negli altri stati europei, infine, si utilizza il sistema delle liste bloccate: i seggi vengono perciò attribuiti in funzione del numero di voti ottenuti da ciascun partito, partendo dai capolista e scorrendo via via le liste, fino ad esaurimento del totale.
Inoltre, se nella maggior parte dei paesi le elezioni avvengono sulla base di una sola circoscrizione nazionale, in Belgio, Irlanda, Italia e Polonia si è scelto di dividere il territorio in regioni o macro-regioni. Infine, in Germania si è optato per un sistema misto, nel quale i candidati si possono presentare in una o più regioni (Länder) o a livello nazionale.
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