La Thailandia scende in piazza contro il governo e la monarchia

Da diversi giorni decine di migliaia di persone, soprattutto studenti, manifestano nelle città della Thailandia contro la deriva autoritaria del paese.

Da diversi giorni decine di migliaia di persone, soprattutto studenti, stanno scendendo in piazza a Bangkok e in altre città della Thailandia. Protestano contro la monarchia e il governo, a causa di una storia di recente di colpi di stato, arresti e imbavagliamento delle opposizioni. Già nei mesi scorsi gli organi di potere locali avevano dovuto fronteggiare la rabbia della popolazione, ma la pandemia da Covid-19 aveva poi tranquillizzato la situazione. Oggi la gente è di nuovo in strada, mentre il governo ha risposto con la mano pesante attraverso una nuova legge di emergenza ad hoc che vieta le proteste.

Il paese dei colpi di stato

La Thailandia ha una certa familiarità con i colpi di stato. Dal 1932, anno della fine della monarchia assoluta, a oggi, ce ne sono stati ben 12, a cui vanno aggiunti altri sette tentativi mal riusciti. L’ultimo colpo di stato è datato 2014 e quello che sta succedendo oggi in Thailandia nasce più o meno da lì.

Un tentativo da parte del governo populista, vicino alle fasce più povere della popolazione, di introdurre un’amnistia aveva portato quell’anno migliaia di persone in piazza. L’accusa era che il premier Yingluck Shinawatra volesse approvare la legge per consentire all’esiliato fratello Thaksin, ex premier rimosso nel 2006 da un altro colpo di stato, di tornare nel paese. Furono mesi difficili, contrassegnati anche dall’annullamento delle elezioni, che si conclusero con l’accusa di abuso di potere per il premier Yingluck Shinawatra e la presa del potere da parte dell’esercito, vicino alle élites e alla monarchia. 

In quelle settimane il paese sperimentò sulla propria pelle una deriva autoritaria dettata dalla situazione di emergenza, tra sospensione della Costituzione, limitazione alle manifestazioni, coprifuoco e simili. Un’impronta antidemocratica che negli anni successivi è tornata a farsi sentire. I militari si sono rifiutati di indire elezioni per i cinque anni successivi, mentre nel 2019 il presidente golpista Prayut Chan-o-Cha ha ottenuto un nuovo mandato grazie alle norme costituzionali approvate dagli stessi militari e a elezioni giudicate poco trasparenti dagli osservatori.

Un anno di proteste

La cancellazione di uno dei partiti di opposizione, il Future forward party, e l’espulsione dal parlamento del suo leader Thanathorn Juangroongruangkit, segnano il momento in cui è montata, nel febbraio scorso, la protesta di piazza contro le autorità thailandesi. Per qualche giorno i manifestanti, perlopiù studenti legati alla Thammasat University, hanno fatto sentire la loro richiesta di democrazia nel paese, poi però è arrivato il Covid-19 con tutte le sue limitazioni agli assembramenti e le proteste si sono placate.

Le proteste degli ultimi giorni in Thailandia per la democrazia
Le proteste degli ultimi giorni in Thailandia per la democrazia © Getty Images/Getty Images

A luglio, quando l’emergenza sanitaria si era in parte sgonfiata, è giunta la notizia della scomparsa misteriosa di Wanchalearm Satsaksit, uno degli attivisti di punta per la democrazia thailandese. La gente è tornata in piazza a farsi sentire, con i leader della protesta, che si identificano con il segno delle tre dita, che hanno letto in piazza un manifesto a suo modo blasfemo, perché tra le altre cose criticava direttamente la monarchia, un reato per cui in Thailandia si rischiano fino a 15 anni di carcere per lesa maestà. A settembre in decine di migliaia sono tornati nelle strade per invocare la democrazia, in quello che è apparso come un movimento sempre più strutturato. Una scena che si sta ripetendo in questi giorni.

Le richieste dei manifestanti, la dura risposta delle autorità

Il popolo thailandese chiede una modifica della Costituzione, la rimozione del premier golpista, che la monarchia rispetti la democrazia e cessi di giostrare le istituzioni politiche come marionette, lasciando inascoltata la volontà dei suoi cittadini, e che rompa il suo legame troppo stretto con i militari. Nelle piazze si levano anche striscioni con scritto “Repubblica di Thailandia”, qualcosa che non si era mai visto nella storia del paese. In generale, le proteste sono nei confronti di una casta politico-militare che da troppo tempo si spartisce il potere, tenendo fuori dai palazzi le istanze delle fasce più povere della popolazione.

Il primo ministro ha risposto a queste richieste con l’imposizione di un duro stato di emergenza che vieta l’assembramento di più di quattro persone, così da ostacolare le manifestazioni. A essere colpita è stata anche la stampa e, più in generale, la libertà di espressione. La legge vieta di far circolare notizie sulle manifestazioni dal momento che “potrebbero creare paura e influenzare la sicurezza nazionale”. Inoltre, è fatto divieto di pubblicare selfie dai luoghi delle proteste, con pene fino a due anni.

La nuova normativa ha causato già decine di arresti, in particolare tra i leader del movimento di protesta. Chi sta denunciando i metodi brutali usati contro i manifestanti, come un medico che assieme ad alcuni colleghi ha firmato una lettera contro i cannoni ad acqua mixata a sostanze chimiche irritanti, è stato licenziato. Organizzazioni non governative come Human rights watch e Amnesty international stanno alzando la loro voce contro la brutalità delle forze dell’ordine, in quella che appare una spirale in cui a maggiore richiesta di democrazia da mesi si risponde con un bavaglio sempre più stretto.

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