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Svizzera e Stati Uniti ai vertici della “vera” classifica dei paradisi fiscali
La ong Tax Justice Network ha stilato la sua classifica biennale dei paradisi fiscali. Svizzera e Stati Uniti i peggiori del mondo, male Lussemburgo e Germania.
La Svizzera in testa e gli Stati Uniti al secondo posto. Non solo atolli esotici e giurisdizioni che molti non saprebbero neppure indicare facilmente su una carta geografica: la classifica dei peggiori stati del mondo in termini di scarsa trasparenza finanziaria, stilata dall’associazione Tax Justice Network, punta il dito contro le due superpotenze finanziarie, che superano perfino un paradiso fiscale “storico”: quello delle Isole Cayman (che figurano al terzo posto).
Switzerland, USA and Cayman top the 2018 Financial Secrecy Index https://t.co/BFzeAVsqN9 pic.twitter.com/Qi2vWMUo5P
— Tax Justice Network (@TaxJusticeNet) January 30, 2018
Perché la lista dei paradisi fiscali della ong è diversa da quella stilata dall’Unione europea
Ogni due anni la ong prepara la propria lista nera, frutto di un’analisi approfondita effettuata su 112 paesi. Essa, spiegano gli autori, “contrariamente ad altre blacklist, non è basata su decisioni politiche”. Il riferimento è all’elenco pubblicato il 5 dicembre scorso dall’Unione europea e aggiornato il 23 gennaio, all’interno del quale figurano ormai soltanto nove giurisdizioni: le Samoa, le Samoa americane, l’Isola di Guam, il Bahrein, le Isole Marshall, la Namibia, Palau, Santa Lucia e Trinidad e Tobago. I ministri delle Finanze europei hanno così dimezzato la lista rispetto ai 17 stati che erano stati indicati a dicembre, salvando – tra gli altri – Tunisia, Corea del Sud, Emirati Arabi Uniti e Panama.
First up, our great friends at @ICIJorg : https://t.co/ALYDcb76e6 #FSI2018
— Alex Cobham (@alexcobham) January 30, 2018
Al contrario, la classifica dei paradisi fiscali del Tax Justice Network si basa su una valutazione complessiva del tasso di “opacità finanziaria” di ciascun paese. Si è cercato di verificare, in altre parole, se e fino a che punto le singole giurisdizioni consentano agli investitori di effettuare transazioni al riparo da sguardi indiscreti (soprattutto al riparo da quelli delle Agenzie delle entrate locali). In particolare, i calcoli della ong tengono conto di venti indicatori, tra i quali l’esistenza di un registro dei beneficiari delle imprese, gli eventuali scambi automatici di dati con altre nazioni, nonché le dimensioni del settore finanziario. Il tutto con l’obiettivo di comprendere l’impatto reale di ciascun paradiso fiscale a livello mondiale, non solo in termini di evasione fiscale ma anche, ad esempio, diinfiltrazioni criminali o di riciclaggio
Dalla Svizzera passi avanti lenti e parziali
Così, a spingere Svizzera e Stati Uniti ai vertici è il peso delle loro piazze finanziarie, pari rispettivamente al 4,5 e al 22,3 per cento delle transazioni mondiali. Più in generale, il risultato ottenuto dal Tax Justice Network è una lista che non risparmia le nazioni europee: il Lussemburgo è al sesto posto, subito davanti alla Germania. Completano la top ten le Isole Cayman, Hong-Kong, Singapore, Taiwan, gli Emirati Arabi Uniti e Guernsey (l’Italia è invece 41esima).

Per quanto riguarda la confederazione elvetica, l’associazione riconosce che sono stati effettuati dei passi in avanti, ma giudica tali avanzamenti troppo lenti e parziali. Berna ha accettato, infatti, di far parte dell’accordo sugli scambi automatici di informazioni proposto dall’Ocse: ciò significa che se un italiano decidesse di aprire un conto corrente in Svizzera, le autorità di quest’ultima lo faranno sapere immediatamente ai servizi fiscali del nostro paese. Ma tali scambi sono limitati ad alcune nazioni: un approccio definito dalla ong “da zebra: denaro ‘bianco’, pulito, per gli scambi con i paesi ricchi e denaro sporco, ‘nero’, per quelli con i paesi emergenti”.
“Negli Stati Uniti un far west fiscale”
Ancora peggiore il giudizio sugli Stati Uniti, che sono passati dal sesto posto del 2013, al terzo del 2015, fino al secondo attuale: “Vogliono difendersi dai paradisi fiscali stranieri ma loro stessi lo sono”. Nel mirino sono finiti in particolare tre stati federali – Delaware, Wyoming e Nevada – che vengono definiti dal presidente dell’associazione, John Christensen, “un far west fiscale”.
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