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Ogni anno crescono le denunce per traffico illecito di rifiuti. Due casi emersi a metà novembre riaccendono i riflettori su un business in crescita.
Nel giro di una settimana, alla metà di novembre, due carichi di rifiuti sono stati bloccati dall’Italia verso l’Africa. Il primo è stato fermato al porto di Sousse, dalla dogana tunisina: 70 container contenenti 120 tonnellate di rifiuti, tra cui materie plastiche e rifiuti ospedalieri. Il secondo riguarda invece un carico spedito dalla Sicilia verso il Senegal del peso di 30 tonnellate, dentro il quale l’agenzia delle dogane siciliana ha trovato parti di carrozzerie, motori trasudanti olio esausto non bonificati totalmente, centraline elettriche, frigoriferi di cabine non bonificati contenenti compressori a gas refrigeranti, radiatori e differenziali.
In entrambi i casi è scattata un’inchiesta: in Tunisia il ministero degli Affari locali e dell’ambiente ha disposto l’accertamento amministrativo nei confronti del contratto concluso da una società tunisina per l’importazione di rifiuti dall’Italia. Ciò dopo che la notizia è stata trasmessa dalla tv privata ElHiwar Ettounsi (secondo la radio locale Mosaique Fm ci sarebbero altre 200 tonnellate di rifiuti in attesa di essere smistate, sempre nel porto di Sousse). In Sicilia, invece, l’indagine è scattata nell’ambito di un’operazione concertata da funzionari delle dogane con gli ispettori dell’Arpa.
I due casi riaccendono i riflettori sui traffici illeciti di rifiuti che dall’Italia vengono spediti verso l’estero, in particolare verso l’Africa. Sia chiaro: l’import-export di rifiuti da e verso l’Italia segue anche e soprattutto canali del tutto legali. Secondo gli ultimi dati Ispra, nel 2018 l’Italia ha esportato circa 465 mila tonnellate di rifiuti urbani verso l’estero, pari al 2 per cento dei rifiuti urbani prodotti. Di questi, circa la metà, una volta raggiunta la destinazione, viene avviata a recupero di materia; l’altra parte viene destinata a recupero di energia o a incenerimento.
I rifiuti esportati legalmente sono costituiti per il 45,3 per cento da Css, il combustibile solido secondario derivato dalla lavorazione dei rifiuti urbani (e speciali), che può fungere da combustibile industriale, ad esempio nei cementifici. Il materiale parte prevalentemente dal Friuli, ma anche da Abruzzo e Veneto, ed è destinato a Slovenia, Austria e Ungheria (oltreché, in quantitativi minori, a Cipro e Bulgaria).
Poi c’è un 17,6 per cento di rifiuti prodotti dal trattamento meccanico: la quasi totalità di questi proviene dagli impianti di trattamento biologico situati in Campania. Tali materiali finisco in Spagna, Portogallo e Danimarca. L’11,4 per cento è costituito poi da imballaggi – essenzialmente in plastica o carta e cartone – inviati in Austria, Spagna, Slovenia e Turchia; il 13,4 per cento di rifiuti da abbigliamento, destinati quasi esclusivamente alla Tunisia. Infine, un 2 per cento di indifferenziato misto, esportato in larga parte dalla regione Lazio verso la Germania.
Questo per quanto riguarda il traffico regolare di rifiuti. Ma c’è un traffico parallelo, illecito, che secondo le indagini dei carabinieri specializzati nella tutela ambientale vale 20 miliardi di euro. E raggiunge i 260 miliardi se consideriamo l’intero continente europeo. Un danno enorme per il settore, in continua crescita: basta mettere a confronto i rapporti Ecomafie realizzati tutti gli anni da Legambiente per rendersi conto di questo trend. Nel report 2019 (che fa riferimento ai movimenti dell’anno precedente), Legambiente conta 7.984 denunce, l’anno precedente erano state 7312 e 6887 l’anno ancora prima.
Sempre secondo Legambiente, sono 459 le inchieste condotte e chiuse dalle forze dell’ordine dal febbraio 2002 al 31 maggio 2019 utilizzando il delitto di organizzazione di traffico illecito di rifiuti. Complessivamente, sono state 90 le procure che si sono messe sulle tracce dei trafficanti, portando alla denuncia di 9.027 persone e all’arresto di 2.023, coinvolgendo 1.195 aziende e ben 46 stati esteri.
“Sicuramente serve più collaborazione tra paesi, in Europa e con le nazioni del Mediterraneo”, ha spiegato in diretta social Rossella Muroni, deputata italiana ed ex presidentessa di Legambiente. “Non ci sono confini amministrativi che tengano quando si parla di impatto ambientale. Da una parte, la cooperazione è sicuramente il miglior strumento di prevenzione, anche in ottica di scambio di competenze. Dall’altra, continuiamo a essere un paese povero di materie prime, quindi dobbiamo puntare sul recupero di materie perché l’economia circolare diventi davvero il volano della nostra economia”.
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