Il paese del Caucaso punta su eolico, solare e idroelettrico. Ma il legame con il petrolio è ancora forte. Quali progetti ci sono nel cassetto e che ruolo gioca l’Europa.
Alla fine del secolo scorso, l’Azerbaigian produceva oltre la metà del petrolio mondiale. Dopo l’indipendenza dall’Urss, nel 1991, ha scoperto nuovi giacimenti nel mar Caspio e sfruttato queste risorse anche grazie all’aiuto di compagnie internazionali, legando così a doppio filo la propria economia alla produzione di idrocarburi. Oggi questo Stato del Caucaso è uno dei Paesi più autosufficienti al mondo dal punto di vista energetico, con una produzione che supera la domanda di quasi quattro volte.
Bisogna però considerare che le sue riserve non sono infinite: si stima che Baku possieda 7 miliardi di barili di petrolio ancora estraibili. Giacimenti molto più piccoli rispetto a quelli di altri Paesi come la Russia (80 miliardi di barili) e il Kazakistan (30 miliardi).
All’inizio degli anni Duemila si prevedeva che queste risorse si sarebbero esaurite entro il 2025. Un orizzonte temporale che si è poi allungato grazie alle nuove tecnologie estrattive e alla scoperta di nuovi giacimenti. Ma le scorte non saranno comunque infinite: l’Agenzia internazionale dell’energia (Iea) ritiene che le riserve di petrolio del Paese dureranno altri venticinque anni. Un conto alla rovescia che, unito alla possibile futura contrazione dei mercati dei combustibili fossili e alla necessità di accelerare la transizione energetica, spinge inevitabilmente Baku a riconsiderare la propria strategia economica.
Ma se da un lato l’Azerbaigian ha iniziato a diversificare la propria economia, investendo ad esempio nello sviluppo delle rinnovabili, dall’altro non sembra intenzionato ad abbandonare la produzione di idrocarburi. Per il momento, infatti, il governo sembra voler sviluppare queste due strade in parallelo, senza mostrare una chiara volontà di lasciarsi definitivamente alle spalle i combustibili fossili.
Ma quali tentativi sta facendo il Paese per avviare la transizione verde?
Fossil fuels fuel #ClimateChange. It’s time to change that.
Not tomorrow, not in a year – actions must start now!
Baku ha iniziato a considerare di ridurre la propria dipendenza dai combustibili fossili all’inizio degli anni Duemila. Ma le prime proposte concrete sono state approvate solo nel 2016 e aggiornate negli anni successivi. Ora il paese guidato dal presidente Ilham Aliyev ha dichiarato come obiettivi l’aumento della produzione di energia rinnovabile del 30 per cento entro il 2030, e la riduzione delle emissioni di gas serra del 40 per cento entro il 2050.
Per raggiungere questi ambiziosi risultati, nel 2020 è stata istituita un’agenzia per sviluppare le fonti energetiche sostenibili sotto la direzione del Ministero dell’Energia, ed è stato avviato un programma per aumentare l’uso delle rinnovabili.
I progetti per l’energia rinnovabile
Nell’autunno 2023, nella zona di Garadagh, vicino a Baku, è entrato in funzione il primo impianto fotovoltaico su larga scala, realizzato in collaborazione con la società emiratina Masdar: una distesa di 570.000 pannelli solari capaci di soddisfare il fabbisogno energetico di 110mila abitazioni, tagliando 200mila tonnellate di emissioni all’anno.
Secondo le autorità azere, il potenziale dell’Azerbaigian per l’energia solare è di 23 GW: il clima della regione, caratterizzato da più di tremila ore di sole all’anno, offre al Paese un grosso potenziale per produrre energia solare.
Anche il potenziale eolico è piuttosto promettente: il paese vanta un potenziale economico di 3 GW per l’energia eolica onshore e una capacità tecnica di 157 GW per l’energia eolica offshore. Per sviluppare questo potenziale, all’inizio del 2022 è stato inaugurato il parco eolico di Khizi-Absheron: 40 turbine eoliche capaci di generare circa 1 miliardo di kWh di elettricità all’anno.
Sul fronte dell’energia idroelettrica, che rappresenta circa il 10 per cento della produzione annua di elettricità del Paese, spicca la centrale idroelettrica di Mingachevir, con una capacità di 424 MW.
Tuttavia, per quanto il governo abbia presentato questi progetti come prova della sua transizione green, al momento sembra del tutto improbabile che simili iniziative possano sostituire interamente la produzione di idrocarburi del Paese.
Infatti, pur avendo dichiarato il suo sostegno alla transizione verde, il presidente azero Ilham Aliyev ha difeso i combustibili fossili, criticando tra l’altro l’ipocrisia dei Paesi occidentali che comprano il gas azero ma poi puntano il dito contro la sua economia dipendente da gas e petrolio.
“Il petrolio e il gas sono un dono di Dio, proprio come il sole, il vento e i minerali — ha detto Aliyev nel suo discorso di apertura della Cop29, il summit delle Nazioni unite sul clima che si sta svolgendo in questi giorni a Baku —. In qualità di presidente della Cop29, ovviamente sarò un forte sostenitore della transizione verde e la stiamo facendo. Ma allo stesso tempo dobbiamo essere realistici”.
E a proposito dei Paesi occidentali, il ricercatore dell’Ispi Fabio Indeo sottolinea un dato interessante: nonostante gli appelli per promuovere lo sviluppo delle energie rinnovabili, i principali investimenti nei progetti di energia eolica, solare e idroelettrica in Azerbaigian sono invece stati fatti da aziende energetiche non europee.
La cooperazione verde con l’Unione europea
Tra le principali iniziative “green” che avvicinano l’Azerbaigian all’Unione europea c’è il Corridoio Verde, un progetto strategico che punta a creare un collegamento energetico tra il Caucaso e l’Ue, trasportando elettricità prodotta da fonti rinnovabili. Una pietra miliare per la strategia di diversificazione energetica europea, che apre nuove possibilità di cooperazione con l’Azerbaigian basate non più sugli idrocarburi ma sulle rinnovabili.
Si tratta in sostanza di un elettrodotto sottomarino lungo oltre 1.100 chilometri che attraverserà il Mar Nero, collegando l’Azerbaigian, tramite la Georgia, ai mercati energetici europei. Questa linea dovrebbe trasportare 1.000 MW, sufficienti secondo le stime a coprire il 15 per cento dei consumi elettrici annuali della Romania. L’accordo di partnership strategica per la realizzazione del Green Corridor è stato firmato nel dicembre 2022 alla presenza della presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen.
Il Green Corridor a quanto pare ha aperto le porte a un nuovo tipo di cooperazione energetica, e ha portato alla nascita anche del Caspian Sea Electricity Project, un’infrastruttura complementare al Corridoio Energetico Verde finalizzata a collegare ulteriormente le due sponde del Caspio. Il progetto, la cui dichiarazione d’intenti è stata firmata nel maggio scorso, coinvolge Azerbaigian, Kazakistan e Uzbekistan, che si impegnano ad aumentare la produzione di energia eolica e solare per poi esportarla, attraverso l’Azerbaigian, verso i mercati europei.
Le difficoltà nella realizzazione di questi progetti ovviamente non mancano. Le principali sfide riguardano le complessità tecniche delle infrastrutture e la loro vulnerabilità in un contesto di conflitti globali come quello che stiamo vivendo (il sabotaggio del gasdotto Nord Stream nel settembre 2022 potrebbe rappresentare un inquietante precedente).
Cosa aspettarsi dal futuro
Insomma, esistono delle basi promettenti per ridisegnare il futuro energetico del Paese. Un futuro che però sarà possibile solo dopo una serie di riforme e un cambiamento di governance nel Paese. Un cambiamento che, secondo molti analisti, sembra poco probabile sotto l’attuale governo, dove il potere è concentrato nelle mani di pochi e l’economia è finalizzata a servire gli interessi delle élite.
“L’Azerbaigian è costretto a fare i conti con la transizione energetica: piaccia o non piaccia i tempi stanno cambiando e gli introiti derivanti dal petrolio e dal gas non saranno infiniti — ha commentato a LifeGate Laurence Broers, uno dei massimi esperti di politica del Caucaso, direttore del programma ‘Caucaso’ dell’organizzazione indipendente di peacebuilding Conciliation Resources —. Ma la transizione energetica richiede necessariamente il coinvolgimento della società, ed è proprio qui che si pone il grande dilemma per un Paese autoritario come l’Azerbaigian. Nei prossimi decenni, sarà indispensabile dare spazio e ascolto alla voce della società, poiché ogni vero cambiamento parte da lì. E quando sento i policy maker europei affermare che l’Azerbaigian deve adeguarsi alle nostre normative, mi viene da ricordare loro che non siamo più nel 2006: il mondo è cambiato, e queste richieste regolatorie oggi appaiono decisamente deboli”.
Secondo l’analista Jody LaPorte del think thank Carnegie Endowment for International Peace, l’Azerbaigian “ha bisogno dei partenariati occidentali per rispettare i propri impegni climatici”, e l’Europa potrebbe sfruttare questa leva per influenzare lo sviluppo de settore energetico, “offrendo in cambio assistenza tecnica, collaborazioni a lungo termine e un maggiore accesso ai mercati dell’Ue”.
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