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Il tribunale dei ministri, al quale sono stati trasmessi gli atti relativi al ministro Matteo Salvini, è disciplinato da una legge costituzionale del 1989.
La vicenda del pattugliatore Diciotti della Guardia Costiera, costretto a rimanere ormeggiato per giorni al porto di Catania senza poter sbarcare i 177 migranti salvati nel Mediterraneo, ha convinto la procura di Agrigento ad aprire un’inchiesta. Il ministro dell’Interno Matteo Salvini è stato iscritto nel registro degli indagati.
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Per il capo del Viminale le ipotesi di reato sono particolarmente gravi: sequestro di persona, abuso d’ufficio e arresto illegale. Il pubblico ministero che conduce l’inchiesta, Luigi Patronaggio, dopo aver ascoltato due alti funzionari ministeriali, sospetta infatti che aver bloccato così a lungo i migranti sulla Diciotti rappresenti una condotta incompatibile con le leggi in vigore.
Salvini, tuttavia, è un ministro. Pertanto, un eventuale procedimento giudiziario nei suoi confronti deve superare un percorso particolarmente tortuoso. A disciplinarlo è la legge costituzionale n. 1 del 16 gennaio 1989, che ha modificato tre articoli della Carta (all’epoca il presidente del Consiglio era il democristiano Ciriaco De Mita): il 96, il 134 e il 135, nonché altre norme in materia di reati ministeriali.
Il nuovo articolo 96 della Costituzione, in particolare, prevede che “il presidente del Consiglio dei ministri ed i ministri, anche se cessati dalla carica, sono sottoposti, per i reati commessi nell’esercizio delle loro funzioni, alla giurisdizione ordinaria, previa autorizzazione del Senato della Repubblica o della Camera dei deputati”. In precedenza, invece, a giudicare i membri del governo era la Corte costituzionale (come previsto dagli articoli 134 e 135), previa autorizzazione del parlamento in seduta comune (ovvero non delle singole camere ma di entrambe, riunite per l’occasione in un unico organismo).
La procedura funziona in questo modo: quando si indaga su presunti reati ministeriali, gli atti devono essere trasmessi al tribunale del capoluogo del distretto di corte d’appello (la competenza di quest’ultima è infatti delimitata sul territorio nazionale, che è diviso in distretti, ciascuno dei quali ha, appunto, un capoluogo). Le indagini preliminari spettano però proprio al tribunale dei ministri, che riceve il fascicolo dalla procura entro quindici giorni.
Il tribunale dei ministri non è altro che un collegio speciale – specifica l’articolo 7 della legge costituzionale 1/1989 – “composto da tre membri effettivi e tre supplenti, estratti a sorte tra tutti i magistrati in servizio nei tribunali del distretto che abbiano da almeno cinque anni la qualifica di magistrato di tribunale o abbiano qualifica superiore. Il collegio è presieduto dal magistrato con funzioni più elevate, o, in caso di parità di funzioni, da quello più anziano di età”.
Il tribunale dei ministri ha quindi 90 giorni di tempo per sentire il pubblico ministero, effettuare i propri approfondimenti, e decidere se archiviare il procedimento oppure trasmettere gli atti al procuratore della Repubblica. Nel primo caso, si tratta di una decisione “non impugnabile”: contro la quale, cioè, non si può presentare ricorso. Nel secondo caso, l’obiettivo è consentire al procuratore di chiedere un’autorizzazione a procedere al parlamento.
Come disciplinato dall’articolo 5 della legge costituzionale 1/1989, infatti, “l’autorizzazione prevista dall’articolo 96 della Costituzione spetta alla Camera cui appartengono le persone nei cui confronti si deve procedere” (o al Senato in caso di persone non elette, i cosiddetti “tecnici”). Nel caso di Salvini, si tratterebbe dunque del Senato, dal momento che lo scorso 23 marzo il leader della Lega è stato eletto a Palazzo Madama. Il parlamento potrebbe a quel punto autorizzare o meno il procedimento giudiziario nei confronti del ministro: qualora lo negasse, potrebbe farlo anche nel caso in cui ritenga che il comportamento sia stato dettato dalla necessità di tutelare un interesse pubblico preminente. E, anche in questo caso, la scelta sarebbe insindacabile.
Nel caso in cui l’autorizzazione venga concessa, invece, la norma prevede che il procedimento debba tornare al tribunale del capoluogo del distretto di corte d’appello. Il tribunale dei ministri, però, non ha più competenza in materia: si può dire che il membro del governo torna in tale fase ad essere “un cittadino qualunque”. L’iter, infatti, segue a quel punto il percorso canonico dettato dal codice di procedura penale.
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