Sono almeno 31 le vittime di un’ondata di raid aerei lanciata dall’aviazione della Turchia sulla porzione settentrionale dei territori della Siria e dell’Iraq. A fornire i dati sono state le autorità autonome curde, secondo il quale la stragrande maggioranza dei morti apparterrebbe alla loro popolazione. Tra di loro, anche undici civili (informazione che tuttavia, almeno per ora, non è stata confermata dall’Osservatorio siriano per i diritti dell’uomo, Osdh).
Secondo le autorità curde sarebbero stati uccisi anche dei civili
Le forze agli ordini di Recep Tayyip Erdogan hanno lanciato l’operazione aerea nella giornata di sabato 19 novembre, che è durata fino a domenica. Ad essere colpite sono state le province di Aleppo, Racca e al-Hasaka (compresa la città di Kobane): i bombardamenti avrebbero ucciso anche alcuni soldati dell’esercito regolare siriano. I feriti sarebbero invece una quarantina.
“La resa dei conti è arrivata! I traditori dovranno pagare per i loro ignobili attacchi”, ha scritto in un tweet il ministero della Difesa di Ankara, mostrando la fotografia di un caccia in fase di decollo. Il governo turco ha specificato come, a suo avviso, l’operazione sia stata decisa “conformemente al diritto alla legittima difesa sancito dall’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, con l’obiettivo di annientare i terroristi nel nord dell’Iraq e della Siria, e assicurare la sicurezza delle frontiere”.
Dalla Turchia una risposta all’attentato del 13 novembre a Istanbul
Il riferimento è all’attacco del 13 novembre scorso a Istanbul, che ha provocato sei morti e 81 feriti, e per il quale la Turchia ha indicato come responsabili il Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk), le Unità di protezione del popolo (Ygt) e le Forze democratiche siriane (Fds), sostenuti secondo Ankara dagli Stati Uniti. Le accuse sono state respinte al mittente, ma il governo di Ergodan ha deciso di sferrare comunque l’attacco.
I raid sono stati almeno venti. Il comandante in capo delle Fds, Mazloum Abdi, li ha definiti “una barbara aggressione turca sulle nostre zone, che minaccia la regione intera. Faremo di tutto per evitare una catastrofe. Se scoppiasse una guerra, tutti ne patirebbero le conseguenze”.
È almeno dallo scorso mese di maggio che Erdogan esprime la sua intenzione di effettuare un’operazione militare nella Siria settentrionale, al fine di colpire i combattenti curdi e imporre una “fascia di sicurezza” di 30 chilometri al confine con la Turchia.
Non c’è pace per i curdi
Nelle settimane precedenti all’attacco della Turchia, l’Iran ha bombardato i curdi in Iraq. L’ultimo bombardamento risale al 14 novembre, quando la repubblica islamica se l’è presa con la sede del Partito democratico del Kurdistan iraniano (Pdki) a Koysanjaq, nel Kurdistan iracheno, causando almeno due vittime e dieci feriti. In altre località della regione autonoma sono state colpite le sedi del Partito comunista iraniano e del gruppo nazionalista curdo-iraniano Komala.
L’Iran ha accusato i militanti curdi con sede in Iraq di fomentare i disordini scoppiati in seguito alla morte di Mahsa Jina Amini, la ragazza curda di 16 anni uccisa dalle Guardie rivoluzionarie iraniane il 16 settembre. Ma quello di Koysanjaq non è stato l’unico attacco. In un raid delle guardie compiuto a settembre, 13 persone erano state uccise e 58 ferite vicino a Erbil e Sulaimaniya, mentre lo scorso 8 ottobre i pasdaran hanno annunciato la fine di un’altra operazione in Kurdistan che aveva causato 18 morti e oltre 60 feriti. Insomma, i curdi continuano a essere vittime collaterali del conflitto in Medioriente.
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