L’amministrazione Usa ha sospeso le domande per l’immigrazione delle persone provenienti da 19 paesi. Nel frattempo vanno avanti le retate nelle città.
Gli Stati Uniti lasceranno l’Unesco entro la fine del 2018, accusando l’agenzia delle Nazioni Unite di essere “anti-israeliana”. Esulta Tel Aviv.
Aggiornamento ore 23:00 – Anche Israele ha annunciato l’uscita dall’Unesco, seguendo la via indicata dagli Stati Uniti.
Gli Stati Uniti hanno annunciato, il 12 ottobre, la decisione di abbandonare l’Unesco, Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura. Washington, che manterrà lo status di osservatore esterno, ha motivato la scelta con l’accusa, rivolta all’agenzia Onu, di essere “anti-israeliana”.
Gli attriti tra Stati Uniti e Unesco risalgono ormai al 2011, quando cioè l’agenzia con sede a Parigi ammise la Palestina tra i propri stati membri. Da quel momento il governo americano ha deciso di congelare tutti i finanziamenti, il che per l’organizzazione internazionale ha rappresentato un colpo durissimo: proprio gli Usa, infatti, contribuivano in modo determinante al totale dei fondi messi a disposizione dell’agenzia dalla comunità internazionale. La decisione arrivò in virtù del diritto statunitense, che vieta di finanziare qualsiasi istituto che riconosca lo stato palestinese.
#US @StateDept statement on #UNESCO withdrawal: pic.twitter.com/eaALtElOVr
— Matt Lee (@APDiploWriter) 12 ottobre 2017
Il dipartimento di Stato americano ha precisato che il ritiro degli Stati Uniti sarà effettivo a partire dal 31 dicembre 2018, conformemente ai tempi previsti dallo statuto dell’Unesco. “Non si tratta di una decisione presa alla leggera – ha spiegato il governo di Donald Trump – e riflette le inquietudini della nostra nazione in riferimento alla persistenza di scelte anti-israeliane e alla necessità di una profonda riforma dell’organizzazione”.
I deeply regret the decision of the United States of America to withdraw from @UNESCO.
Official statement: https://t.co/ACgqUKVLBi pic.twitter.com/xHTvJNt6tm— Irina Bokova (@IrinaBokova) 12 ottobre 2017
Già all’inizio dello scorso mese di luglio Washington aveva anticipato l’intenzione di riesaminare la propria partecipazione all’Unesco. In quel caso, a scatenare l’ira americana era stata decisione dell’agenzia di inserire la città vecchia di Hebron, nella Cisgiordania occupata, nell’elenco dei siti protetti come Patrimonio mondiale dell’umanità. Nikki Haley, ambasciatrice americana all’Onu, aveva parlato di “affronto alla storia” e di “discredito per un’agenzia già fortemente criticabile”.
Alla notizia dell’addio di Washington ha reagito la direttrice generale dell’Unesco, Irina Bokova, deplorando “profondamente” la decisione. Anche la Francia, nazione che ospita la sede dell’agenzia, ha spiegato di non condividere la scelta americana, “soprattutto in un momento in cui il sostegno della comunità internazionale a questa organizzazione è primordiale”. Al contrario, Israele ha parlato di avvio di “una nuova era per le Nazioni Unite: quella in cui chi discrimina la nostra nazione, è obbligato a pagare il prezzo delle proprie scelte”.
Nei prossimi giorni l’Unesco dovrà eleggere il suo nuovo direttore generale. A contendersi la guida sono i candidati di Cina, Vietnam, Azerbaijan, Francia, Egitto, Qatar, Libano e Iraq. Chiunque prenderà il posto di Irina Bokova, dovrà trovare la maniera di far uscire l’agenzia Onu dalla pesante crisi, soprattutto finanziaria, in cui versa.
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