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Vinitaly Bio è il salone dedicato al vino bio certificato italiano ed estero, una vetrina per i produttori che trasferiscono nel vino tutto l’amore per la terra.
Un italiano su due, il 51 per cento, ha avuto almeno un’occasione di consumo di vino biologico nell’ultimo anno, un trend in crescita (nel 2015 era il 17 per cento) così come crescono nel nostro Paese le superfici vitate biologiche (con un’incidenza del 18 per cento che è la più alta in Europa e nel mondo) e il mercato del vino bio (oltre 50 milioni il valore stimato nel 2021).
Lo racconta l’indagine promossa da FederBio e AssoBio e curata da Nomisma-Wine Monitor, presentata in occasione di Vinitaly. La fotografia scattata è quella di una produzione vitivinicola biologica che registra valori stupefacenti e non più di nicchia con una crescita del 110 per cento negli ultimi dieci anni. E quella di un consumatore sempre più attento nella scelta di un prodotto di qualità e allo stesso tempo sostenibile, con un ciclo di vita e di produzione che rispetta l’ambiente.
Il vino bio viene scelto in quanto considerato più sostenibile, più sicuro grazie ai controlli previsti dal disciplinare, e per la qualità. Per tutti questi motivi, l’86 per cento di chi consuma vino bio è disposto a riconoscere un differenziale di prezzo per un vino bio. I vini bio più acquistati dal consumatore italiano sono il Prosecco (oltre 5 milioni di euro di vendite nel 2021), seguito da due rossi fermi, Nero d’Avola (2,9 milioni di euro) e Montepulciano d’Abruzzo (2,6 milioni di euro), poi Pecorino (1,9 milioni di euro) e Chianti (1,7 milioni di euro).
E il 32 per cento degli attuali wine user bio sarebbe intenzionato ad accrescere il consumo attuale se l’assortimento venisse ampliato (gamma più profonda, grandi marchi che introducono referenze a marchio bio oppure presenza nei negozi di scaffali dedicati ai soli prodotti bio), mentre un consumatore abituale su tre vorrebbe più informazioni sui tratti distintivi della produzione biologica (percentuale che sale al 54 per cento tra i non user).
Il vino biologico è un fenomeno – almeno sul fronte produttivo – tutto europeo: l’Unione europea – con 398 mila ettari nel 2020 – rappresenta ben il 79 per cento della superficie vitata bio del mondo. La leadership dell’Europa si segnala anche attraverso l’incidenza delle superfici vitate bio sul totale, che nel 2020 ha superato il 12 per cento a fronte di una quota mondiale del 7 per cento. In tale scenario l’Italia (117 mila ettari di vite con metodo biologico) detiene, insieme alla Francia, il primato per incidenza di superficie vitata biologica: 18 per cento del totale.
“I dati che emergono da questa indagine evidenziano come il vino biologico sia sempre più apprezzato e ricercato dai consumatori e il suo ruolo centrale all’interno del processo di transizione ecologica verso un’agricoltura sostenibile che non utilizza sostanze chimiche di sintesi a tutela della fertilità del suolo e della biodiversità”, ha dichiarato Maria Grazia Mammuccini, presidente di Federbio. “La viticoltura biologica è il settore che più ha innovato, rappresenta un modello virtuoso per la capacità di valorizzare l’ambiente e l’identità dei territori. La forza dei vini italiani è la denominazione d’origine che unita al metodo sostenibile fa davvero la differenza”.
“In questo momento storico, è proprio quello vinicolo il settore dove il biologico italiano eccelle, sia per l’incremento dei terreni dedicati ai vigneti, sia per la forte crescita delle esportazioni”, ha affermato il presidente di AssoBio Roberto Zanoni. “Il concetto di sostenibilità, unito alle varietà regionali e all’alta qualità, consentono di soddisfare le esigenze dei consumatori e di ottenere prestigiosi riconoscimenti internazionali che rendono le nostre imprese eccellenze mondiali.”
E proprio parlando di specificità territoriali, tra le regioni più virtuose nella produzione di vino bio c’è la Sicilia che, con i valori del vino biologico esportato, è tornata a livelli pre pandemia: un mercato intorno ai 100 milioni di euro, con circa dieci milioni di bottiglie prodotte dal 22 per cento delle cantine. Le 78 tipologie di vitigno fanno della Sicilia uno dei territori con maggior biodiversità per la vinificazione. Non solo biodiversità, ma anche storia. Le fertili e vulcaniche terre siciliane, sferzate dai venti marini e baciate dal sole, hanno rilevato tracce di vinificazione risalenti a ben 6mila anni fa.
Una delle aziende bio siciliane più importanti e significative dell’isola è Firriato. L’azienda vinicola viene fondata nel 1978, ha 470 ettari di vigneti certificati biologici, 7 tenute nei differenti territori che rappresentano tutte le diverse tipologie di suolo dell’isola (tra cui l’Etna, il mare e la collina) e tre luoghi di accoglienza nei vigneti, “hospitality Firriato”. Nel padiglione Sicilia incontriamo Federico Lombardo di Monte Iato, responsabile della produzione Firriato e chief operating officer dell’azienda che ha la sua sede ufficiale e principale a Trapani; fiero della storia della azienda e della scelta biologica antesignana, con la certificazione bio ottenuta nel 2007.
Lombardo di Monte Iato pondera bene le parole e sceglie il concetto più caro alla filosofia aziendale: “La sostenibilità ambientale non è un requisito, bensì un dovere etico e morale per tutte le aziende, non solo per chi produce vino. Il biologico e il green devono essere reali e nei fatti, non divenire un claim utile al marketing e al greenwashing”. Un concetto etico e una ispirazione verso le migliori pratiche agricole e produttive, anche grazie alle più svariate e cogenti certificazioni ambientali, che fanno assaporare i rotondi, profumati e corposi vini Firriato, non solo con il palato e l’olfatto, ma anche con la mente e con il cuore, rivolti al futuro.
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