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L’Onu chiede 5 miliardi di aiuti internazionali per risollevare l’Afghanistan dalla carestia e la povertà. Intanto si parla di un ritorno delle donne a scuola.
Più della metà della popolazione dell’Afghanistan necessita di aiuti umanitari, tre quarti degli abitanti sono in condizione di povertà estrema. Sono i numeri impressionanti snocciolati dalle Nazioni Unite, che hanno fatto un appello alla comunità internazionale: servono cinque miliardi di dollari di donazioni.
La presa del potere dei talebani ha peggiorato una situazione già difficoltosa a causa di 20 anni di guerra e di una pesante siccità. Si rischia di arrivare a un punto di non ritorno e l’inverno con il gelo e la neve sta amplificando le criticità. Da qui l’importanza dell’attivismo straniero, che deve essere economico ma anche politico. Intanto proprio grazie alle pressioni da fuori, il governo dell’Afghanistan ha promesso che da marzo le scuole saranno riaperte alle donne, un annuncio che però lascia scettici.
“In Afghanistan si prospetta una vera e propria catastrofe umanitaria”, ha dichiarato Martin Griffiths, coordinatore degli aiuti di emergenza delle Nazioni Unite. La maggior parte della popolazione vive in condizioni critiche per effetto della guerra, della siccità e del deterioramento del contesto locale dopo la presa del potere dei talebani ad agosto. L’inverno si sta facendo sentire con tutta la sua forza, tra temperature sotto zero e tempeste di neve. A tutto questo si è aggiunto un terremoto che nelle scorse ore ha causato decine di vittime nella provincia occidentale di Baghdis.
L’unico modo per uscirne, o quanto meno per provarci, è con un ruolo di primo piano da parte della comunità internazionale. Come ha sottolineato Griffiths, senza aiuti stranieri un milione di bambini afghani finirà per ritrovarsi in condizione di fame acuta e altri otto milioni di persone vivranno una situazione di carestia. Se le cose non cambieranno, il 97 per cento della popolazione finirà per scendere sotto la soglia di povertà. Da qui l’appello dell’Onu per un flusso di donazioni internazionali che tocchi i cinque miliardi di dollari. La maggior parte, circa 4,4 milioni, da destinare al soccorso umanitario sul territorio afghano, la restante parte per assistere i milioni di rifugiati che sono scappati nei paesi confinanti, come l’Iran.
A dicembre il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato una risoluzione che esenta le donazioni umanitarie internazionali dalle sanzioni finanziarie con cui si sta colpendo il governo talebano. Quest’ultimo ha detto di voler collaborare per la distribuzione dei fondi, consapevole che sarebbe il primo a rimetterci nel caso in cui la crisi economica e sociale portasse il paese al collasso definitivo. Tutto questo, insieme alla fine della guerra, rende oggi il contesto afghano più permeabile a un’assistenza umanitaria efficace, motivo per cui non c’è altro tempo da perdere. Gli Stati Uniti hanno annunciato un pacchetto di aiuti da 308 milioni di dollari.
L’attivismo della comunità internazionale in Afghanistan potrebbe aver avuto delle conseguenze positive nell’ambito della scuola. Zabihullah Mujahid, portavoce del governo talebano e viceministro della Cultura e dell’Informazione, ha annunciato che a partire da marzo, inizio del nuovo anno scolastico, le donne potranno tornare a seguire le lezioni.
Dopo la presa del potere dei talebani in agosto in molte aree del paese gli istituti erano diventati luoghi esclusivi per maschi, con le studentesse escluse dal circuito scolastico. Già 20 anni fa, prima dell’intervento militare occidentale e della caduta del primo governo talebano, alle donne era vietata l’istruzione. Stavolta non è stata approvata una legge ad hoc, ma non è servito visto che in diverse province nelle scuole si è tornati a comportarsi come alla fine del secolo scorso. Solo una delle tante forme di discriminazione di genere che in questi mesi hanno contraddistinto la vita delle donne afghane. Tra le altre, il divieto di viaggiare da sole per una distanza superiore a 72 chilometri o quello di apparire nei film e programmi televisivi.
“Non siamo contrari all’istruzione”, ha sottolineato Mujahid durante l’annuncio della riapertura delle scuole per le studentesse, giustificando le chiusure di questi mesi con la crisi economica e il sovraffollamento delle classi. Gli attivisti per i diritti umani e la comunità internazionale mantengono però una certa dose di scetticismo. Il timore è che possa trattarsi di una promessa vuota, fatta giusto per distendere i rapporti con il resto del mondo. Tanto che il ministro dell’Educazione, Sheikh Molvi Noorullah Munir, ha fatto trapelare che nessuna decisione ufficiale è stata presa in merito.
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