Il biometano e la transizione energetica, storia di un combustibile utile

Il biometano, se proviene da scarti o rifiuti, è una fonte di energia rinnovabile. Tra pro e contro, vediamo perché il suo utilizzo è ancora limitato.

L’aumento del prezzo del metano agita gli animi di cittadini, politici, imprenditori, investitori. Non stiamo parlando solo del gas metano che usiamo per scaldare le nostre case o per cucinare, ma anche quello impiegato nel settore dei trasporti, che ha subìto un notevole incremento: al distributore, il gas metano si è sempre trovato a un prezzo di gran lunga più conveniente di benzina o diesel, circa 1 euro al chilogrammo. Con l’incremento generale dei prezzi, un chilogrammo di metano costa oggi, in media, 1,6 euro, spingendosi fino a 2 euro in autostrada.

Circa un quinto dei distributori offre un’alternativa più sostenibili al metano, ovvero il biometano, che si ottiene dalla raffinazione del biogas. Il biogas, a sua volta, è ottenuto dalla digestione anaerobica (ovvero dalla degradazione da parte di microrganismi) di sostanze organiche. Perché il biometano sia davvero sostenibile, il biogas deve provenire da residui organici come gli scarti agricoli o della frazione organica del rifiuto solido urbano (Forsu). In questi casi si parla di “biometano avanzato”, una fonte energetica rinnovabile.

Nonostante il biometano provenga da una filiera completamente diversa da quella del suo “parente” fossile – che, ricordiamolo, è estratto dal sottosuolo – il suo prezzo è comunque aumentato in modo considerevole. Tale aumento rischia di affossare le potenzialità di questo gas sostenibile in merito alla transizione energetica, anche se non tutti credono nel potenziale del biometano nel decarbonizzare la nostra economia. Vediamo perché.

Metano e biometano legati dal punto di vista economico

Sul mercato finanziario, il biometano è legato indissolubilmente al metano fossile: il prezzo del primo è trainato da quello del secondo. Questo legame è reso ancora più vincolante dal meccanismo dei Certificati di immissione in consumo (Cic), calcolati secondo le procedure del Gse (Gestore dei servizi energetici): chi produce combustibili fossili è obbligato, come compensazione, a incentivare il mercato delle rinnovabili, biometano compreso.

Una situazione paradossale, ma senza i Cic il metano sostenibile non sopravviverebbe sul mercato dell’energia, dato che la domanda di gas naturale –  il combustibile fossile più utilizzato in Italia – è soddisfatta appena per lo 0,1 per cento dal biometano. Niente impedisce di produrne di più: secondo l’Agenzia internazionale dell’energia, Iea, in Europa, biogas e biometano cresceranno del 40 per cento da qui al 2040 e l’Italia è il secondo paese in Europa per numero di impianti a biogas.

biogas agricoltura
Raccolta di scarti agricoli per la produzione di biogas © Ralph Orlowski/Getty Images

Sul mercato del biometano si punta ancora poco

Ma la vera domanda da porsi è se davvero il biometano può sostituire il gas fossile, in modo da raggiungere gli obiettivi che ci siamo dati come paese in fatto di riduzione delle emissioni di gas serra. Secondo Legambiente, al 2030, il contributo del biometano potrebbe essere di 10 miliardi di metri cubi all’anno, pari a circa il 15 per cento dell’attuale fabbisogno annuo di gas e ai due terzi della potenzialità di stoccaggio della rete nazionale. Attualmente, il 70 per cento (dati: Agenzia internazionale dell’energia, Iea) del biometano viene destinato al settore dei trasporti, tanto che nel 2030 potrebbe rappresentare il 40 per cento del metano per autotrazione a livello europeo.

Però, l’attuale aumento dei costi dell’energia mette a rischio queste favorevoli previsioni. “L’incertezza che si è venuta a creare rischia di spingere gli imprenditori ad abbandonare il biometano”, spiega Dante Natali, presidente del consorzio Federmetano.

“Il connubio che si è venuto a creare tra settore agroindustriale e trasporti grazie al biogas e al biometano è capace di attrarre grandi investimenti nel nostro paese. Tuttavia, è un mercato su cui non si punta adeguatamente. Oltre all’incertezza legata ai prezzi, Fca – che deteneva la più grande flotta in Italia di veicoli a metano – è uscita dal mercato del gas per puntare interamente sui veicoli elettrici. Questo a nostro avviso si tratta di un errore madornale, poiché il biometano, a differenza della produzione dell’elettricità, è totalmente carbon neutral”.

Meno gas serra del metano, ma stessi inquinanti atmosferici

A differenza del gas fossile, il biometano non aggiunge gas serra all’atmosfera. In questo senso, il bilancio del biometano è neutro dal punto di vista climatica, in quanto il diossido di carbonio liberato durante la combustione equivale a quello fissato dagli elementi in decomposizione durante la fase di digestione anaerobica, ovvero il processo con il quale si produce il biogas. Se poi, come riporta l’Agenzia Internazionale per l’energia, la CO2 fissata in fase di produzione di biogas venisse stoccata nel sottosuolo, addirittura produrre biometano significherebbe dar vita a un processo carbon negative.

Ma le tecnologie per lo stoccaggio di CO2 non sono ancora adeguatamente sviluppate, quindi per ora non possiamo considerarle come alleate per raggiungere la decarbonizzazione, almeno non in tempi brevi. Al di là di questo, per Federmetano il biometano può davvero considerarsi il volano della decarbonizzazione: “È la risorsa più indicata nel fare da ponte per il passaggio all’idrogeno, perché l’infrastruttura esiste già”, aggiunge Natali. Questo è dimostrato dal principale distributore di gas in Italia, Snam, che sta già sperimentando l’immissione di una miscela di gas e idrogeno nelle condutture italiane per trasportare i due elementi in tutto il territorio nazionale.

Quindi, se consideriamo la CO2, il biometano che alimenta il settore trasporti è attualmente meglio di qualunque altra tecnologia. Il problema è che durante la combustione, un motore non emette solo diossido di carbonio. “È vero che il biometano è neutrale se parliamo di CO2, ma non se parliamo di inquinanti atmosferici, poiché le emissioni di NOx e polveri sottili sono le stesse del metano che va a sostituire”, spiega Veronica Aneris, direttrice italiana di Transport&Environment.

Ma il biometano non è scalabile

Transport&Environment è un ong che si occupa di sostenibilità nei trasporti. Secondo l’organizzazione, il biometano non basterà mai a soddisfare la domanda di gas. È quanto scrive chiaramente nel report LNG trucks: a dead end bridge, dove si legge: “né il biometano sostenibile né il metano prodotto da elettricità rinnovabile saranno sufficientemente scalabili o convenienti per essere una soluzione praticabile per la decarbonizzazione degli autotrasporti”.

Secondo Transport&Environment avrebbe più senso destinare il biogas per soddisfare la domanda di riscaldamento di case ed edifici oppure convertirlo in energia elettrica, in quanto in entrambe le soluzioni sarebbe più efficiente che trasformarlo invece in biometano da destinare ai veicoli, dove, come abbiamo visto, non risolve il problema dell’inquinamento.

Insomma, il destino di questo gas sostenibile è ampiamente dibattuto. Perché se è vero, come indica di nuovo Iea nel suo outlook, che biogas e biometano possono contribuire alla decarbonizzazione, non è abbastanza chiaro in quale misura essi possano riuscirci. Quel che è certo è che vale la pena convogliare tempo e risorse nelle tecnologie più mature, come fotovoltaico ed eolico. Quando poi tali tecnologie saranno state adeguatamente sviluppate, allora si potrà intervenire con altre fonti di energia sostenibili nei settori dove esse dimostreranno di essere più efficienti.

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