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Cos’è la blue economy e come funzionano i fondi azionari a tema
La blue economy, l’insieme delle attività economiche legate a oceani, mari e coste che promuove la crescita sostenibile, è un promettente ambito d’investimento.
- Le opportunità economiche legate agli oceani avranno un valore pari al 5 per cento del pil mondiale entro il 2030.
- I numerosi problemi ambientali che incombono sui nostri oceani rischiano di compromettere anche questo fiorente settore economico.
- Esistono fondi tematici che consentono di investire nella ocean economy in chiave sostenibile.
La blue economy è oggi un ambito di investimento rilevante. Entro il prossimo decennio, stima l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse o Oecd, in origine) nel suo rapporto The ocean economy in 2030, le opportunità economiche legate agli oceani avranno un valore pari al 5 per cento del pil mondiale. Eppure, gli ecosistemi acquatici sono minacciati dal riscaldamento globale e dalla perdita di biodiversità marina. Facciamo un passo indietro e capiamo meglio.
Cos’è la blue economy
Diverse sono le definizioni disponibili per la blue economy. La Banca mondiale la intende come l’“uso sostenibile delle risorse oceaniche per la crescita economica” e al contempo la “preservazione della salute degli ecosistemi”. Una definizione molto ampia anche quella della Commissione europea, che contempla tutte le attività economiche di un’ampia gamma di settori interconnessi legati agli oceani, ai mari e alle coste (da quello turistico alla logistica passando per le energie rinnovabili). Di recente, l’Organizzazione delle Nazioni Unite l’ha definita come un’economia che comprende una serie di settori economici e di politiche correlate i quali insieme contribuiscono a stabilire se l’uso delle risorse oceaniche è sostenibile.
In linea generale, può dunque essere intesa come l’insieme di attività economiche, più consolidate ma anche emergenti, legate a oceani, mari e coste che promuovono una crescita sostenibile e tutelano la salute delle nostre acque.
Perché gli oceani sono in pericolo
Sempre rifacendoci al recente rapporto dell’Ocse, il contributo diretto dell’ocean economy (l’economia legata agli oceani che fa parte della più ampia blue economy) ha toccato il tetto di 1.500 miliardi di dollari solo nel 2010, pari quasi al 3 per cento del pil mondiale e al 5-6 per cento dell’economia reale globale (termine che include l’attività delle imprese che producono beni e servizi e li distribuiscono sul mercato).
Ma, come detto, le nostre acque sono in pericolo. In occasione dell’ultima conferenza Onu sugli oceani, il segretario generale António Guterres ha dichiarato lo stato d’emergenza: lo sfruttamento e l’inquinamento minacciano la vita acquatica. Il riscaldamento di mari e oceani, mai così caldi nella storia, e la conseguente acidificazione stanno agendo in maniera irreversibile sulla biodiversità, determinando negli ultimi cinquant’anni il declino di alcune specie: le popolazioni di squali e razze per esempio sono crollate di oltre il 70 per cento negli ultimi cinquant’anni. L’inquinamento da plastica monouso rischia, poi, di determinare una maggiore difficoltà nella riproduzione e nella prosperazione delle specie ittiche e, di riflesso, un cambio delle nostre diete.
Alleati nella mitigazione del riscaldamento globale, poiché capaci di assorbire circa il 25 per cento della CO2 emessa ogni anno dalle attività antropiche, gli oceani stanno perdendo progressivamente questa capacità. La loro tutela è una questione prioritaria. Come fare, quindi, a contribuire?
Solo l’attuazione di iniziative politiche sostenibili – con l’Unione europea impegnata nell’attuazione delle iniziative politiche del Green deal europeo e nella definizione del pacchetto Fit for 55 per ridurre le emissioni di gas serra del 55 per cento entro il 2030 – e l’adozione di soluzioni tecnologiche innovative e ambientalmente compatibili potranno aiutare a tutelare questa risorsa. Alla base deve esserci un approccio responsabile agli investimenti.
Fondi azionari tematici sulla blue economy
La blue economy, come detto, apre notevoli prospettive di crescita. Lo scorso luglio Cpr Am, società di gestione del risparmio integralmente controllata dal gruppo Amundi, primo asset manager europeo fra i primi 10 operatori a livello mondiale, ha lanciato il fondo azionario tematico globale Cpr Invest – Blue economy. Questo fondo a gestione attiva amplia la gamma tematica per la tutela del clima, nel quale rientra anche il fondo Cpr Invest – Hydrogen lanciato a fine 2021.
Cpr Invest – Blue economy consente di investire nelle aziende che adottano un approccio di preservazione o di utilizzo sostenibile delle risorse acquatiche. Ad oggi, è costituito da 200 azioni suddivise in due categorie:
- Aziende legate all’economia degli oceani: acquacoltura, pesca, trasporti marittimi, infrastrutture, energie rinnovabili, turismo, sanità ecc.
- Aziende che contribuiscono alla conservazione degli oceani: gestione dei rifiuti e qualità delle acque, “cattura” di anidride carbonica ecc.
Non tutte le aziende, quindi, possono rientrare nel fondo: vengono selezionate solo quelle che dimostrano di avere già generato una quota significativamente elevata del proprio fatturato agendo a tutela dell’ecosistema marino, o che intendono farlo. I rating Esg interni ad Amundi, tra cui uno specifico che opera sulla base di alcuni criteri pertinenti come la biodiversità o la gestione delle acque, e il monitoraggio delle controversie da parte di fornitori esterni, costituiscono i filtri di inclusione ed esclusione nella delimitazione dell’ambito investibile.
“La disponibilità e il rinnovo delle risorse marine sono cruciali per soddisfare le esigenze umane più basilari, nonché per lo sviluppo a lungo termine di un vasto ecosistema economico. È quindi fondamentale investire con urgenza in aziende che adottano pratiche conformi alla conservazione della biodiversità marina e alla lotta contro il riscaldamento globale”.
Le emissioni di gas serra del portafoglio saranno monitorate e ridotte nel tempo dal team di gestione. Mensilmente e annualmente i risultati confluiranno in report di impatto sul clima e sulla biodiversità.
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