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Il rapporto sul bracconaggio di Legambiente mostra l’inadeguatezza della legge italiana per la tutela delle specie selvatiche, soprattutto dopo la pandemia.
Il bracconaggio in Italia è purtroppo ancora una realtà. Lo afferma Legambiente nell’ultima edizione del suo rapporto sull’argomento. La legge sulla protezione della fauna selvatica nel nostro paese compie trent’anni, ma risulta ormai datata e superata dalle recenti pandemie e dalle crisi della biodiversità.
La normativa tutela un misero 1,1 per cento di tutte le specie animali presenti stabilmente o temporaneamente sul nostro territorio, e cioè solo 643 specie e sottospecie protette (comprese quelle relative ai mammiferi e agli uccelli marini) presenti in Italia. Numeri esigui che fanno intuire come sia necessario un adeguamento delle norme legislative alla situazione in atto.
Nel rapporto di Legambiente dal titolo La tutela della fauna selvatica e il bracconaggio in Italia, l’associazione ambientalista spiega che dal 2009 al 2020, sulla base di dati ricevuti dalle forze di polizia, sono stati riscontrati oltre 35.500 illeciti contro la fauna selvatica – una cifra che raggiunge il numero di 2.960 ogni anno, con una media di quasi 250 illeciti ogni mese, e che ha portato alla denuncia di oltre 21.600 persone, poco più di 1.800 all’anno, e più di 150 ogni mese. Il numero più alto di reati in questi anni si è registrato nel Lazio (5.049 illeciti), in Lombardia (3.657) e Campania (2.937).
Il fenomeno del bracconaggio è quindi ben lungi dall’essere risolto e rimane una realtà incontrovertibile nel panorama dei diritti animali in Italia. Legambiente, pertanto, ribadisce che nel nostro paese la gestione della fauna omeoterma (mammiferi e uccelli) è affidata per la quasi totalità ai cacciatori e solamente nella parte residua agli enti pubblici, mentre il bracconaggio alimenta un mercato d’affari che oscilla tra i 50 e i 70 milioni di euro.
La denuncia dell’associazione ambientalista diventa non solo un’analisi accurata sulla legge in questione e sulla sua genesi, ma anche sull’attività e la popolazione venatoria in Italia. Le cifre presentate da Legambiente dimostrano come – dal 1992, anno di approvazione della legge quadro – l’attività venatoria si è più che dimezzata passando da un milione di praticanti a circa 500mila, ma, soprattutto, è drasticamente “invecchiata”: se prima il 60 per cento dei praticanti aveva meno di quarant’anni, ora solo il 9 per cento di chi la pratica è così giovane.
Legambiente, quindi, ribadisce nel suo rapporto l’urgenza di modificare la legge quadro per tutelare la biodiversità nella sua interezza, inserendo anche i delitti per gli illeciti contro gli animali selvatici nel codice penale, e regolamentandone la coesistenza con le tante attività umane che quotidianamente hanno relazione con la fauna. Secondo l’associazione sarebbe necessario, inoltre, prevedere una serie di strumenti per adeguarsi al trend attuale, rafforzando anche il sistema sanitario veterinario per la prevenzione di zoonosi e patologie animali che possano avere pesanti ricadute sociali (come la peste suina e influenza aviaria).
Un appello, quello di Legambiente, che si spera non cada nel vuoto dal punto di vista legislativo e riesca, in ultima analisi, a garantire un’efficace protezione alla fauna selvatica presente sul territorio italiano.
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