
Con Sergio Savaresi del Politecnico di Milano ripercorriamo sviluppi e futuro dell’auto autonoma, un viaggio che conduce dritto nel prossimo decennio.
I modelli più recenti e le tecnologie alternative hanno consentito alle auto di ridurre la produzione di polveri sottili, ma la qualità dell’aria nelle città non è migliorata. Le principali responsabili sono le caldaie obsolete.
La riduzione delle emissioni è da anni uno dei principali obiettivi perseguiti dal mondo dell’auto. Volenti o nolenti, i costruttori – salvo rarissime eccezioni – hanno recepito le più recenti direttive antinquinamento, stanno sviluppando motorizzazioni alternative e guardano alla mobilità elettrica come a un orizzonte sempre più vicino e concreto. Nonostante ciò, la qualità dell’aria nelle principali città italiane non è migliorata in modo sostanziale. Il trasporto pesante, o meglio l’industria della distribuzione, ha una parte di responsabilità, ma non sufficiente per spiegare le elevate, anzi elevatissime, concentrazioni di pm10 (polveri sottili) che puntualmente affliggono i centri urbani. Un problema che ha origini “casalinghe”, in quanto legato ai sistemi di riscaldamento obsoleti o non a norma.
Il principale nemico dell’aria in città sono le migliaia di vecchie caldaie tuttora in funzione. Lo svela una ricerca del Politecnico di Milano, secondo la quale i sistemi di riscaldamento obsoleti, specie se alimentati a gasolio, inquinano il triplo rispetto alle vetture. La ricerca, presentata in occasione del Forum energia di Milano, evidenzia come, negli ultimi vent’anni, le polveri sottili generate dal trasporto su gomma tanto delle persone quanto delle merci siano calate del 60 per cento grazie al ricambio generazionale delle motorizzazioni e alle nuove tecnologie, mentre il particolato emesso dalle caldaie è addirittura raddoppiato. Specie qualora si prenda in esame l’inquinante pm2,5, vale a dire le polveri fini con un diametro di un quarto di centesimo di millimetro, definite “toraciche” in quanto in grado di penetrare profondamente nei polmoni, in particolar modo durante la respirazione dalla bocca.
La ripartizione delle responsabilità per l’inquinamento atmosferico tra caldaie e veicoli si attesta su di un rapporto di tre a uno. Secondo il Politecnico, infatti, le case italiane producono il 50 per cento dell’anidride carbonica presente in atmosfera e sino al 30 per cento delle polveri sottili. Come è possibile? Si tratta di una mera costatazione: il 55 per cento degli edifici ha oltre quarant’anni – percentuale che sale al 75 per cento nei grandi centri urbani – e la stragrande maggioranza rientra in una classe energetica molto bassa (G). Il peggiore dei mondi possibili, ulteriormente aggravato dalla diffusione delle stufe a pellet. La combustione di biomasse legnose, inclusi i forni per la pizza, è ritenuta responsabile del 45 per cento di tutte le polveri sottili da attività di riscaldamento della regione Lombardia, come certificato dall’Arpa (Agenzia regionale per la prevenzione e protezione ambientale). Sempre secondo l’Arpa, i motori diesel inciderebbero per il 14 per cento sull’ammontare complessivo delle pm10, mentre il traffico veicolare in genere, considerando anche l’azione degli pneumatici sull’asfalto e il consumo delle pastiglie dei freni, non andrebbe oltre il 27 per cento.
I blocchi del traffico che, inesorabilmente, vengono imposti durante i periodi di siccità invernale non possono risolvere la situazione. Certo sono in grado di alleviarla, consentendo di superare le criticità, ma non costituiscono un rimedio strutturale. Ben altro risultato potrebbe ottenere l’ammodernamento dei riscaldamenti. A Milano, ad esempio, 3.500 impianti a gasolio – una quantità minima, pari al 2 per cento dei sistemi in funzione – inquinano dieci volte di più rispetto al restante ammontare delle centrali termiche a gas. Stando al Politecnico, rinnovare gli impianti dei venti capoluoghi regionali italiani permetterebbe di ridurre le emissioni in atmosfera dal 10 al 50 per cento, mentre considerando la sola Milano, sostituire il 10 per cento delle vecchie caldaie porterebbe benefici pari a un blocco del traffico totale per sei settimane.
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