Una campagna del Cnr svela una forte attività delle faglie tra le isole proprio dove sorgerà il Ponte, per la Società Stretto di Messina nessuna problema.
La resistenza nella Terra dei fuochi. La lotta dell’attivista Carmen Medaglia
Nella Terra dei fuochi, nonostante la criminalità organizzata, l’attivismo si batte per un nuovo modo di gestire i rifiuti.
È un odore acre. Giunge alle narici e impregna i vestiti. Il cumulo di rifiuti poggia sul lato di una strada poco trafficata di campagna del casertano. Intorno la terra è nera, bruciata. I campi coltivati circondano la vista di un giallo accecante. “Io la riconosco ormai l’immondizia”, Carmen Medaglia cammina nella stradina laterale, setacciando il terreno. “La settimana scorsa qua c’erano rifiuti tessili, oggi abbiamo scarpe”.
Ci vuole una passione smodata per fare resistenza in un territorio stremato dalle ingiustizie. Carmen Medaglia non è casertana, ma di questa provincia ha preso tutto, perfino l’accento. La guida a singhiozzo tra le vie di San Nicola la Strada è perfettamente coerente con un’interpretazione naturale e allo stesso tempo drammatica nel descrivere le campagne circostanti.
A pochi metri dal guardrail infatti sorge Lo Uttaro, una delle discariche abusive più grandi del Paese. Qua, negli ultimi 30 anni, le cave di tufo dismesse sono state utilizzate come luoghi di abbandono di rifiuti solidi urbani e industriali di ogni provenienza. Complessivamente, si stima ci siano più di 6 milioni di metri cubi di rifiuti interrati nell’area.
Si stima ci siano più di 6 milioni di metri cubi di rifiuti interrati nell’area
“A me mi schifano perché mi vedono sempre”. Carmen è un osservatore civico. Fa parte di un gruppo di attivisti che sorveglia il territorio e poi partecipa alle riunioni tecniche in prefettura, mostrando le criticità della zona in termini di sversamenti di rifiuti. “Qua è un continuo. Un continuo. Se andate dall’altra parte ne trovate ancora di rifiuti. Guardate qua sono tutte scarpe – l’attivista si sofferma su un altro cumulo di immondizia confinante con un campo coltivato a grano – Qui c’è una delle discariche più grandi d’Italia, che se va a fuoco, andiamo a fuoco tutti. Ce ne dobbiamo andare tutti!”.
La Terra dei fuochi. Viene chiamata così dal 2000 quella porzione d’Italia a cavallo tra le province di Napoli e Caserta. Un misto di sversamenti e roghi tossici, una piaga che ha conseguenze drammatiche. Secondo i dati rilasciati dai vigili del fuoco, nonostante il netto calo, i roghi nel periodo tra gennaio e agosto del 2019 sono stati 428. La quantità esatta invece di rifiuti che giacciono sul territorio non è data sapersi. Il numero più attendibile viene dal rapporto di Legambiente del 2013, che ha censito ben 82 inchieste per traffico di rifiuti dal 1991. Nel dossier si fa riferimento ad oltre 10 milioni di tonnellate di spazzatura. Circa 410mila tir carichi di immondizia.
La conseguenza di tutto ciò è sulla pelle dei cittadini
La Terra dei fuochi e gli effetti sulla salute
La conseguenza di tutto ciò è sulla pelle dei cittadini, anche se i dati redatti spesso contrastano. Mentre un primo dossier del 2008 sviluppato dal commissariato di governo per l’emergenza rifiuti sostiene che l’incidenza su tumori e patologie a causa di roghi e sversamenti sia limitata, nel 2015 un dossier dell’Istituto superiore della Sanità, redatto in collaborazione con la Procura di Napoli nord, ha affermato che nei comuni presi in esame 354.845 abitanti (pari al 37 per cento della popolazione) risiedono entro 100 metri da almeno un sito di stoccaggio illegale.
Nell’area sotto osservazione e nella maggior parte dei singoli comuni, si osservano in entrambi i generi (maschile e femminile) eccessi di mortalità (periodo 2008-2015) e di incidenza (2008-2012) per tutti i tumori, oltre a malattie del sistema respiratorio.
Il 37 per cento della popolazione nei comuni presi in esame risiede entro 100 metri da almeno un sito di stoccaggio illegale
“Veniamo tacciati come portatori di iella oppure veniamo derisi. Anche dalle istituzioni”. Nonostante l’attivismo sia il primo argine di difesa del territorio, spesso Carmen e altri come lei sono sottoposti ad una sorta di sguardo indagatore. “Non è colpa dei cittadini che protestano, qua ci sono madri che hanno perso i loro figli. Di cosa dobbiamo parlare? Del rispetto del dolore delle madri della Terra dei fuochi”.
Ma la terra, la stessa terra tristemente nota per il disastro ecologico, ha un altro passato. In epoca romana veniva chiamata Campania felix, ricca e rigogliosa, piena di coltivazioni. Qua, sperse tra stradine e centri abitati, ci sono ancora le tracce di ville romane e pietre miliari. Un patrimonio culturale che, come i suoi abitanti, soffre per stereotipi, generalizzazioni e pressappochismo. Un cerchio difficile da spezzare.
“C’è chi ancora afferma che la Terra dei fuochi non esiste”, continua Carmen. “Noi in cinque anni non siamo riusciti neanche a fare il compostaggio. Ancora non è partito il ciclo dei rifiuti e l’unico impianto è quello di Acerra”.
In Campania solo il 53 per cento di rifiuti segue la strada del riciclo
La Campania produce circa 2,57 milioni di tonnellate l’anno di spazzatura urbana, di cui solo il 53 per cento con la raccolta differenziata segue la strada del riciclo. Il resto, invece, dei rifiuti indifferenziati viene smaltito dall’inceneritore di Acerra. Spesso però l’impianto, nonostante sia tra i più grandi d’Europa, non riesce a soddisfare la domanda e la Regione è costretta ad esportare fuori dai suoi confini circa 350mila tonnellate di rifiuti in eccesso. Un vero e proprio sperpero di denaro.
Quando il sistema va in affanno, come nella famosa crisi del 2007/2008 che poi portò alla costruzione dell’inceneritore di Acerra, i rifiuti si ammassano a valle del trattamento, provocando malcontento, rischi sanitari e dando il via ai famosi roghi dolosi, molti dei quali tossici e appiccati dalla Camorra.
Quando il sistema va in affanno, cominciano i roghi dolosi
Quali soluzioni e quali ombre sulla Terra dei fuochi?
Nasce così l’idea, spesso partorita da politici e amministratori, di costruire un nuovo inceneritore. Proposta totalmente rigettata dalle associazioni attive sul tema dei rifiuti che puntano invece ad un ciclo di rifiuti efficiente e al compostaggio. “Noi siamo quelli che in Italia di tassa sui rifiuti paghiamo più di tutti e siamo quelli stigmatizzati sui rifiuti ovunque, quindi facciamo i cornuti e i mazziati”.
Carmen è categorica sul tema dell’inceneritore. “Non è che non vogliamo l’impianto. Noi non sappiamo come viene gestito. Siamo scottati da anni di malapolitica e corruzione”. E Camorra. Il link tra smaltimento rifiuti e organizzazioni criminali è stretto nell’area. Ad Acerra, in particolare, i magnati di cemento e compost erano i fratelli Pellini, arrestati grazie allo sforzo degli attivisti. In questo caso le aziende dei due imprenditori condannati a sette anni di prigione, sversavano finto compost sui terreni coltivati, spacciandolo per vero fertilizzante.
La narrativa di questo capitolo è piena di casi e inchieste. Ad esempio, quella sugli scarti tessili. A luglio di quest’anno, una vasta operazione della Guardia di finanza ha smantellato un giro d’affari sui rifiuti speciali. Oppure sullo smaltimento esterno. “Io solo per il trasporto dei rifiuti dalla Toscana andavo a prendere 700 milioni di lire al mese. In Campania guadagnavo 10 miliardi di lire ogni anno solo per l’affare dei rifiuti solidi urbani. Poi c’era il traffico dei rifiuti tossici occultato da quelli domestici. Un pozzo senza fine, guadagnavo 5 milioni di lire a carico. Al clan davo 10 lire al chilo ma li fottevo sul peso e sugli arrivi, ogni giorno arrivavo anche a 30 camion, una cosa come 150 milioni ogni santo giorno”. Queste sono le storiche parole del collaboratore di giustizia Gaetano Vassallo, detto il “ministro dei rifiuti dei casalesi”.
Una storia che intreccia criminalità organizzata e istituzioni. Nonostante la maggioranza continui a vivere, e spesso a lottare, nella legalità, la distanza tra i due poli si stringe. Secondo i dati della fondazione OpenPolis, in Campania dal 1991 al 2020 ci sono stati oltre 110 commissariamenti per infiltrazioni mafiose, di cui 97 nelle province di Caserta e Napoli.
È una battaglia impari. Diversi settori e asset economici sono legati insieme. Quasi come fosse una matassa inestricabile. C’è l’immondizia, certo, ma anche l’edilizia, l’agricoltura e l’allevamento. Ma Carmen non è da sola. Così come ad un’azione corrisponde una reazione, il territorio della provincia di Napoli e Caserta ha visto nascere associazioni e attivisti. Uomini e donne che non accettano questo tipo di narrativa. Da Acerra a Scampia, passando per Caserta, San Nicola la Strada fino alla litoranea, la prima difesa del territorio è loro. Di coloro che si fanno carico delle responsabilità e continuano a chiedere giustizia e un futuro.
La prima difesa del territorio è di coloro che si fanno carico delle responsabilità e continuano a chiedere giustizia e un futuro
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