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Il Centro sperimentale per la tutela degli habitat, in Romagna, si occupa della riabilitazione di tartarughe, razze e altre specie marine in difficoltà.
L’uomo fa parte di un ecosistema complesso, in cui la salute di ogni essere vivente dipende da quella degli altri. Eppure, sembra spesso dimenticarsene o fingere di non saperlo, perché la convivenza con le altre creature che popolano questo Pianeta non è sempre facile. C’è qualcuno che nel silenzio cerca, giorno dopo giorno, di riportare l’equilibrio all’interno dell’ecosistema, di ricucire i rapporti fra i suoi componenti e di guarire, anche letteralmente, le loro ferite.
È il caso dei ricercatori del Cestha, il Centro sperimentale per la tutela degli habitat che ha sede nel complesso storico dell’antico mercato del pesce di Marina di Ravenna, sulla riviera romagnola. Si tratta di un’organizzazione no profit riconosciuta ufficialmente dal ministero dell’Istruzione come ente per lo sviluppo di studi ambientali. È infatti un importante polo di ricerca e divulgazione, fondato da un gruppo di ricercatori nell’ambito della biologia marina, della veterinaria e delle scienze naturali, ma è anche l’unico centro in Italia che si occupa del recupero, della riabilitazione e del rilascio degli elasmobranchi, una sottoclasse che comprende razze, torpedini, alcune specie di squali, pesci sega e trigoni. “Questi ultimi purtroppo sono bistrattati perché sono dotati di un pungiglione e quindi fanno paura a tutti: ai pescatori, ai bagnanti…”, ci racconta Simone D’Acunto, direttore del Cestha.
“Negli anni siamo riusciti a far passare il messaggio che i trigoni non sono affatto pericolosi, ovviamente non vanno disturbati come tutti gli animali selvatici, e tutti gli attori della filiera del mare hanno imparato a conoscerli e ad amarli. Uno degli ultimi esemplari che abbiamo recuperato l’anno scorso si chiama Claudia, perché è stata trovata in difficoltà nell’area del porto di Ravenna e nel recupero ci hanno aiutato i piloti del porto in un momento libero della loro giornata lavorativa, infatti il nome Claudia deriva proprio dal fatto che uno degli operatori impegnati nelle operazioni di salvataggio si chiamasse Claudio, e grazie a lui siamo riusciti a salvarla, per poi riabilitarla e rimetterla in mare”.
Oltre agli elasmobranchi il centro ospita anche le tartarughe marine che, come gli altri animali, vengono studiate e curate prima di tornare in libertà. Purtroppo non è raro che siano vittime di collisioni con le imbarcazioni o di catture accidentali durante le attività di pesca, che ingeriscano plastica o vi rimangano impigliate; spesso arrivano al Cestha disidratate o debilitate, oppure con il carapace fratturato.
A tal proposito, un’altra bella storia è quella che riguarda Cenere, una tartaruga che nel mese di luglio è stata recuperata dalla guardia costiera di Cervia mentre lottava tra la vita e la morte dopo che un’elica le aveva squarciato il guscio, tanto in profondità da reciderle un polmone. In attesa che la ferita si cicatrizzasse, il centro ha chiesto aiuto all’Artificio digitale di Ravenna per la stampa di un carapace in 3D, che ha permesso a Cenere di essere curata in acqua senza il rischio che il polmone danneggiato si riempisse di liquido.
I risultati del Cestha, che collabora con diverse università e con il Consiglio nazionale delle ricerche, sono impressionanti: 97 specie recuperate da catture accidentali, 63 squali salvati, 350mila giovanili riprodotti, e 11.300 studenti sensibilizzati. Oltre che di tutela degli ecosistemi e di conservazione delle specie a rischio, l’istituto si occupa di sensibilizzare il pubblico sull’impatto che le attività umane hanno sulla fauna marina, così come di promuovere la pesca sostenibile. Il progetto Italia-Croazia Prizefish, in particolare, vuole contribuire a rendere più sostenibile il sistema “pesca in Adriatico”, assicurandosi però che resti efficace dal punto di vista qualitativo.
“Uno dei filoni che sviluppiamo è la ricerca scientifica applicata allo sfruttamento sostenibile delle risorse; cerchiamo di sperimentare e di testare nuove tecniche lavorando coi pescatori per innovare il settore produttivo, in modo che comunque sia un’attività economica che possa proseguire impattando meno sull’ambiente”, conclude Simone D’Acunto.
Quest’organizzazione insomma, che ha come presidente Sara Segati, è un’eccellenza italiana che come un faro sta portando un po’ di luce sul Mediterraneo, un bacino purtroppo sempre più inquinato, ma ricco di biodiversità da preservare.
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