Chevron, Shell, ExxonMobil, quando a chiedere di tagliare le emissioni sono soci e cittadini

Le tre società petrolifere Shell, ExxonMobil e Chevron devono impegnarsi contro la crisi climatica. A chiederlo sono gli investitori e un tribunale.

In una settimana, tre fra le più grandi società petrolifere del mondo hanno visto cambiare i propri piani per il futuro. Prima un tribunale olandese ha imposto a Shell il taglio delle emissioni di CO2 in atmosfera, poi due azionisti critici sono entrati per la prima volta a far parte del consiglio d’amministrazione di ExxonMobil. Infine, anche gli azionisti di Chevron hanno chiesto più impegno in termini di riduzione di emissioni climalteranti.

Una brutta settimana per Big Oil ma, come ha ben sintetizzato la giornalista americana Emily Atkin attraverso la sua newsletter Heated, “una bella giornata per la vita sulla Terra!”.

Unazione legale contro Shell

Mercoledì 26 maggio è stata emessa una sentenza storica: la multinazionale petrolifera Royal Dutch Shell dovrà ridurre le proprie emissioni di gas serra del 45 per cento entro il 2030, rispetto ai livelli del 2019, per essere in linea con i requisiti imposti dall’Accordo di Parigi sul clima. Lo ha deciso la corte distrettuale dell’Aia, nei Paesi Bassi.

La condanna arriva in seguito alla causa intentata da una coalizione di organizzazioni ambientaliste che include Friends of the Earth Paesi Bassi, Greenpeace Paesi Bassi, ActionAid, Both Ends, Fossielvrij Nl, Jongeren Milieu Actief e Waddenvereniging, per conto di 17.379 cittadini. Le loro argomentazioni fanno perno sull’Accordo di Parigi sul clima che prevede di contenere l’aumento delle temperature medie globali entro i 2 gradi centigradi rispetto ai livelli industriali, facendo tutto il possibile per non sforare gli 1,5 gradi.

Ma, secondo i legali, continuando a investire miliardi per la produzione di energia da fonti fossili, Shell infrange il suo dovere di diligenza e viola i diritti umani. Intanto la società ha ribadito il suo impegno ad azzerare le emissioni nette entro il 2050 e ha annunciato l’intenzione di fare ricorso in appello.

Gli azionisti sfidano ExxonMobil

Negli stessi giorni in cui arrivava la sentenza contro Shell, due attivisti del fondo dinvestimenti Engine No.1 sono entrati a far parte del consiglio d’amministrazione di ExxonMobil. La mossa rappresenta un tentativo di fare pressione dall’interno e spingere la compagnia petrolifera a impegnarsi maggiormente sul tema dei cambiamenti climatici.

La cosa più sorprendente è che la proposta di Engine No.1 ha ottenuto il sostegno di tre grandi gestori di fondi d’investimento – BlackRock, Vanguard e State Street – che insieme detengono oltre il 20 per cento delle azioni di ExxonMobil. In particolare BlackRock, rivela The Guardian, che possiede il 6,7 per cento di partecipazioni in ExxonMobil, avrebbe appoggiato la candidatura di Engine No.1 in seguito alla frustrazione per il rifiuto da parte dell’azienda americana di prendere sul serio le preoccupazioni sul clima.

Gli azionisti di Chevron per lambiente

Terzo in ordine, ma non per importanza, il caso Chevron: diversi suoi azionisti hanno votato a favore di una risoluzione che chiede alla compagnia petrolifera californiana di ridurre le emissioni di CO2 legate alle attività di estrazione di gas e petrolio. Il messaggio lanciato è che investire nei combustibili fossili potrebbe rivelarsi controproducente. E a dirlo sono proprio gli investitori.

Nel caso di Chevron, il 61 per cento dei suoi azionisti si è ribellato al piano dell’azienda e ha chiesto di ridurre le cosiddette emissioni “scope 3”, ovvero quelle legate all’uso dei suoi prodotti da parte dei clienti. La proposta non richiede alla Chevron di fissare un obiettivo preciso al taglio di emissioni o entro quando farlo, ma è comunque un segnale che la compagnia non può ignorare.

Anche perché le cose avrebbero potuto andare peggio per Chevron. All’assemblea annuale, infatti, gli azionisti hanno respinto per pochi voti una proposta che avrebbe richiesto al gigante del petrolio di preparare un rapporto su come il suo core business sarebbe stato influenzato se gli Stati Uniti dovessero davvero azzerare le emissioni nette entro il 2050, come ha promesso il presidente Joe Biden. Un’altra proposta, che richiedeva alla Chevron di rivelare maggiori informazioni sulla sua attività di lobbying, è stata respinta per un soffio. Entrambe hanno ricevuto il 48 per cento dei voti.

Smettere di finanziare i combustibili fossili entro un anno

Nel 2017, nella classifica delle compagnie attive nei settori del petrolio e del gas stilata dal Climate accountability institute, Chevron figurava al secondo posto per emissioni di gas ad effetto serra, subito dopo Saudi Aramco. In questa speciale classifica, ExxonMobil è quarta, mentre Shell occupa la settima posizione. Eppure, ExxonMobil, Shell e Chevron rappresentano solo il 7 per cento della produzione mondiale, che è ancora in mano alle grandi compagnie di stato.

Inoltre, l’Agenzia internazionale per l’energia ha spiegato che per tenere veramente sotto controllo la crisi climatica, gli investitori devono smettere di finanziare lo sviluppo di nuovi combustibili fossili entro il prossimo anno.

Purtroppo, stando ai recenti investimenti nel settore petrolifero (il settore bancario ha fatto affluire più di 3 miliardi di euro nel settore dei combustibili fossili dalla stipula dell’Accordo di Parigi a oggi), le raccomandazioni dell’Agenzia internazionale per l’energia sono ancora lontane dall’essere adottate. Ecco perché le posizioni nette di alcuni soci delle compagnie (e dei tribunali) sono segnali incoraggianti per la transizione energetica del pianeta.

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