Uno studio scientifico accusa di greenwashing le maggiori compagnie petrolifere

Non c’è coerenza tra le promesse ambientali e le azioni delle principali compagnie petrolifere. È quanto sostiene uno studio pubblicato da Plos one.

  • Uno studio giapponese pubblicato da Plos one ha passato in rassegna le dichiarazioni ambientali delle compagnie petrolifere Bp, Chevron, ExxonMobil e Shell. Dopodiché le ha messe a confronto con le loro strategie di business e le loro azioni concrete.
  • Ne emerge una forte discrepanza tra promesse e realtà, tant’è che gli studiosi parlano apertamente di greenwashing.
  • La produzione di idrocarburi rimane costante e, per contro, gli investimenti nelle fonti rinnovabili sono soltanto briciole.

“Le dichiarazioni sull’energia pulita di Bp, Chevron, ExxonMobil e Shell: una discrepanza tra discorsi, azioni e investimenti”. Sembra il titolo di un report di un’organizzazione ambientalista, invece è uno studio giapponese pubblicato da una delle più celebri riviste scientifiche internazionali, Plos one. Dopo aver scandagliato le promesse di queste quattro compagnie petrolifere in materia di ambiente e clima e averle messe a confronto con i fatti concreti, gli autori arrivano a una conclusione perentoria: “le accuse di greenwashing appaiono fondate”.

Le compagnie petrolifere parlano sempre più di clima

Fra le cosiddette “sette sorelle”, cioè le big mondiali del petrolio, gli studiosi ne hanno appunto scelte quattro: due europee, Bp e Shell, e due statunitensi, Chevron ed ExxonMobil. Messe insieme, sono responsabili – direttamente o indirettamente – di oltre il 10 per cento delle emissioni di gas serra dal 1965 in poi. Come prima cosa, i ricercatori sono andati alla ricerca di 39 parole chiave nei report annuali pubblicati da queste aziende dal 2009 al 2020, organizzandole in quattro categorie: cambiamenti climatici, transizione, emissioni ed energie pulite. In effetti la loro presenza è sempre più consistente, fino ad arrivare – nel caso di Bp – all’1 per cento sul totale delle parole del report 2020. Come suggerito anche da alcune analisi precedenti, le società americane mostrano più resistenze ad affrontare nei confronti della transizione ecologica.

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Un impianto per l’estrazione di petrolio in California © David McNew/Getty Images

I modelli di business sono ancora legati ai combustibili fossili

Fin qui, dunque, il quadro appare incoraggiante. Le promesse iniziano però a scricchiolare quando vengono messe a confronto con le strategie di business e con le azioni concrete. Innanzitutto la produzione di idrocarburi è rimasta pressoché stabile nei dieci anni considerati, fatte salve le inevitabili fluttuazioni legate alle condizioni di mercato. Come se non bastasse, società come Bp e Shell hanno avviato nuove esplorazioni alla ricerca di combustibili fossili nel 2020, contraddicendo il loro stesso impegno a diminuire i progetti estrattivi.

E gli investimenti in energie rinnovabili? Anche se le compagnie non li rendicontano puntualmente, i ricercatori hanno consultato fonti esterne, arrivando a dire che le più proattive sono le europee Bp e Shell, con una percentuale sul Capex (investimenti in capitale fisso) pari rispettivamente al 2 per cento e all’1,33 per cento. Appaiono molto in ritardo Chevron ed ExxonMobil, ferme allo 0,22 e 0,23 per cento. “L’analisi finanziaria rivela che i modelli di business continuano a essere dipendenti dai combustibili fossili, di pari passo con una spesa in energia pulita che rimane insignificante e poco trasparente”, si legge nello studio. Che arriva a dare apertamente ragione a chi parla di greenwashing.

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