Nelle nuove linee guida del Consiglio di stato cinese si auspica una riduzione dell’aborto per motivi non sanitari. Uno dei modi con cui Pechino sta pianificando un boom delle nascite.
La Cina vuole limitare il diritto all’aborto. È la novità che si trova in un documento redatto dal Consiglio di stato cinese, su cui per ora non si hanno ulteriori dettagli. Nel paese l’interruzione di gravidanza è legale dal 1988 e negli anni è stata usata come arma per i programmi governativi di riduzione delle nascite. Ora che il paese vive un problema demografico contrario, con la popolazione sempre più anziana e un’assenza di forza lavoro, il governo sta facendo di tutto per far ripartire in modo massiccio le nascite. La messa in discussione dell’aborto si inserisce in questo scenario e segue altre recenti decisioni simili.
Le nuove linee guida sull’aborto
Nei giorni scorsi il Consiglio di stato cinese ha pubblicato un documento contenente le linee guida per la promozione dello sviluppo delle donne nel paese. Tra le 63 pagine del testo spicca una frase che ha catalizzato l’attenzione nazionale e internazionale, l’obiettivo di restringere le interruzioni di gravidanza che avvengono per “motivi non sanitari”. Questo viene giustificato con il fatto di voler migliorare la salute riproduttiva delle donne e, inoltre, si sottolinea come anche gli uomini debbano prendersi la responsabilità di prevenire gli aborti.
China will reduce" not medically necessary" abortions. This is very alarming, but I'm not surprised. This government is so consistent in treating women's body as a tool for its economic development goals, and in violating women's reproductive choice and bodily autonomy. pic.twitter.com/IGGfGKeQbo
Nel testo non c’è altro ed è probabile che nelle prossime settimane sapremo di più. Ma sono state sufficienti quelle poche parole per mettere in allarme le organizzazioni per i diritti umani. “Questo annuncio potrebbe limitare ulteriormente l’accesso delle donne all’assistenza sanitaria sessuale e riproduttiva, in particolare per le donne non sposate e le coppie dello stesso sesso”, ha denunciatoKai Ong, ricercatrice di Amnesty international Cina. Yaqiu Wang, ricercatrice di Human rights Watch, ha invece sottolineato come ci troviamo davanti all’ennesimo sforzo del governo di ridurre la donna a un oggetto al servizio degli obiettivi economici e sociali del paese.
La politica del figlio unico
In Cina l’interruzione di gravidanza è legale a certe condizioni legate allo stato di salute della donna già dagli anni Cinquanta. Dal 1988 è stato poi legalizzato il diritto all’aborto come scelta personale, attraverso l’introduzione della pillola RU486, apripista nel mondo in questa procedura tanto che la Cina era considerato il paese più all’avanguardia sul tema.
Uno scenario di libertà verrebbe da dire, eppure l’aborto si è trasformato in uno dei più forti strumenti statali di controllo della nascite. La Cina dal 1980 ha adottato la cosiddetta politica del figlio unico, un impianto legislativo nato dall’idea che la sovrappopolazione fosse un freno allo sviluppo e che si dovesse quindi cercare di raddrizzare il tiro nel numero di abitanti del paese, che andavano crescendo troppo velocemente. Fare più di un figlio ha costituito così reato, punito nella migliore delle ipotesi con delle sanzioni pecuniarie molto salate, nella peggiore con la perdita del posto di lavoro, soprattutto per i dipendenti pubblici.
La normativa negli anni è stata accompagnata anche da corollari più o meno informali e di natura molto cruenta, come le sterilizzazioni, gli aborti forzati e il sequestro dei neonati da parte delle autorità. Nel 2000 almeno metà delle donne del paese in età riproduttiva o i loro mariti erano sterilizzati, secondo le stime. Gli aborti venivano imposti non solo per prevenire le troppe nascite, ma anche una volta che si scopriva il sesso del nascituro, così da favorire una popolazione a maggioranza maschile come infatti è oggi, quando ci sono 1,16 maschi per ogni femmina. Secondo quanto dichiarato dalle autorità cinesi, la politica del figlio unico ha prevenuto400 milioni di nascite nel corso dei decenni. A partire dal 2013, dopo che già da alcuni anni era divenuta meno stringente, la normativa è stata progressivamente abbandonata: la Cina si è resa conto di aver bisogno di nuovi bambini.
Alla ricerca di un boom delle nascite
Prima è stata la volta della politica dei due figli, che ha mantenuto le sanzioni ma solo se si superava questa nuova soglia e ha permesso comunque solo ai genitori figli unici di avere un massimo di due bambini. Poi il Partito comunista cinese, lo scorso giugno, ha annunciato la politica dei tre figli. Ogni famiglia potrà mettere al mondo il triplo dei bambini di quanto era fino a solo otto anni fa, lo stato continuerà comunque a esercitare forti controlli nei villaggi e nelle città per individuare e punire chi trasgredisce.
Il problema di fondo è che dopo anni di controllo delle nascite oggi la Cina vive una crisi demografica, con un invecchiamento generale della popolazione che rischia di avere pesanti conseguenze economiche per quello che in termini di dati resta ancora un paese in via di sviluppo. L’assenza di manodopera, esacerbata anche dalla bassa età pensionabile cinese, può mettere in crisi l’industria cinese. Inoltre la popolazione anziana se non è accompagnata da nuove leve lavoratrici costituisce un costo sociale pesante per lo stato. Nel 2020 il 18,7 per cento della popolazione cinese aveva più di 60 anni, contro il 13 per cento del 2010. Sempre l’anno scorso il tasso di fecondità della popolazione cinese era di circa1,3, contro un livello di sostituzione di 2,1.
La politica dei tre figli si inserisce in questo scenario e, come era per la sua normativa inversa di controllo per la riduzione delle nascite del secolo scorso, è accompagnata da tutta una serie di altre misure. Negli ultimi tempi il governo ha introdotto nuovi incentivi economici alla natalità, come la riduzione dei costi del parto e un alleggerimento delle spese per l’educazione. E, evidentemente, anche l’aborto dovrà fare la sua parte. Già nel 2018 le autorità sanitarie cinesi si erano schierate contro le interruzioni di gravidanza, sottolineando come danneggiassero i corpi delle donne e rischiassero di causare infertilità. La nuova direttiva comparsa in queste ore nelle linee guide del Consiglio di stato cinese sulla riduzione degli aborti non dettati da ragioni sanitarie è un nuovo tassello della storia. Quella di un paese che da decenni cerca di limitare i diritti produttivi delle donne, prima controllandone le nascite in senso riduttivo e costringendole ad abortire con la forza, ora limitando il loro diritto all’interruzione di gravidanza per cavalcare un nuovo boom delle nascite.
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