La scoperta del corallo nero a Marettimo raccontata nel documentario “Il bianco nel blu”

Sostenuto da Gruppo Prada e Unesco, il biologo marino Giovanni Chimienti ha condotto un’intensa ricerca per documentare il corallo nero a Marettimo.

Inseguire un’ossessione è sempre un’operazione rischiosa. Difficilmente riusciamo a figurarci ciò che ci separa da lei come un ostacolo insormontabile, trascinati come siamo dal magnetismo che l’ha posta al centro dei nostri obiettivi. Alcuni di noi possono arrivare a inseguirla ovunque. Addirittura fin sotto la superficie del mare, setacciando i fondali se necessario. Costi quel che costi, per dimostrare agli altri – e prima di tutto a noi stessi – che non ci stavamo sbagliando. È con la parola “ossessione”, che in realtà nasconde una sana e sconfinata passione per il mare e per la scoperta, che il National Geographic Explorer Giovanni Chimienti ha descritto il suo rapporto con il corallo nero, protagonista del documentario Il bianco nel blu da poco presentato sull’isola di Marettimo, in Sicilia.

Da tempo Chimienti era convinto che la straordinaria fauna marina presente in queste acque dovesse risiedere in qualcosa di più delle storie degli antenati, qualcosa di spiegabile dal punto di vista di un biologo e, soprattutto, qualcosa che era possibile documentare per la prima volta. “Tutto questo pesce non poteva essere spiegato solo dalla presenza della Posidonia oceanica, la pianta acquatica che tappezza queste aree costiere”, continua Chimienti. In effetti, la biodiversità in cui ci si imbatte già a pochi metri dalla superficie, la morfologia sommersa del territorio e le correnti marine che scorrono in profondità erano tutti segnali che qui avrebbe potuto trovare qualcosa di più. “Il corallo nero era praticamente sconosciuto a Marettimo”, racconta Chimienti. “Solo i pescatori avevano cominciato a intuire che c’era un legame tra le aree più pescose e quei rami bianchi che, di tanto in tanto, restavano impigliati nelle reti”.

Marettimo, la più selvaggia e mistica delle isole Egadi

L’isola di Marettimo è la più lontana e selvaggia dell’arcipelago delle Egadi, che comprende anche Favignana e Levanzo, e mantiene un’aura di misticismo sin dall’antichità. Già allora se ne conosceva la ricchezza, sia per quanto riguarda la terraferma – dove sorgono boschi insolitamente estesi rispetto agli appena 12 chilometri quadrati di superficie a strapiombo sul mare – sia per la pescosità del mare, un tempo affollato di pescherecci. Questo la rendeva una sorta di santuario naturale dove le flotte avversarie cessavano temporaneamente le ostilità, attraccando lungo i suoi scali naturali per approvvigionarsi di acqua dalle numerose sorgenti naturali presenti ancora oggi.

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Una veduta della costa rocciosa dell’isola di Marettimo

Cos’è il corallo nero

A dispetto del nome, il corallo nero è in realtà bianco all’esterno, mentre conserva un’anima nera particolarmente resistente ed elastica che gli permette di crescere fino a grandi profondità, laddove le correnti marine possono essere particolarmente fredde e intense. Ed è proprio grazie alla presenza di correnti intermedie, così chiamate perché più saline e “pesanti” di quelle che entrano nel bacino del Mediterraneo dall’Atlantico e che tendono per questo a “sprofondare” all’altezza del Canale di Sicilia, che si creano le condizioni ideali alla vite di questa specie così rara e ancora poco studiata. “I coralli neri sono molto diversi rispetto alle specie di corallo con cui abbiamo maggior familiarità. Per loro generalmente non si parla di barriere coralline ma di foreste. Questo perché i coralli neri sono vere e proprie arborescenze che crescono in profondità e che possono raggiungere i due metri di altezza. Trovandosi a profondità notevoli e crescendo in presenza di correnti fredde, non hanno sperimentato i problemi di sbiancamento dovute all’aumento delle temperature delle superfici marine, tipico delle aree costiere. In queste zone i coralli, e la biodiversità che consentono, regalano spesso spettacoli ancora inalterati dall’uomo”, continua Chimienti.

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Il corallo nero in realtà è bianco in superficie, ma ha un’anima nera all’interno

La biodiversità nell’area marina protetta delle isole Egadi

Poco lontano dalle coste di Marettimo il fondale marino scende rapidamente, consentendo a specie marine che normalmente si troverebbero più lontane di pullulare non così distanti dalla terraferma. I mari pescosi di un tempo sono protetti con l’istituzione, nel 1991, dell’area marina protetta (Amp) isole Egadi che, con un’estensione di 53.992 ettari, è la riserva marina più grande del Mediterraneo. “Le foreste di corallo nero che abbiamo trovato si trovano fuori dall’area marina e, per questo, è bene capire come proteggerle prima di renderne nota l’esatta localizzazione”, dice Chimienti.

Il biologo si augura che la scoperta di specie tanto rare e preziose possa contribuire a riaprire una riflessione sulla gestione dell’Amp nel suo insieme, un tema assolutamente non secondario a Marettimo. Da un lato, infatti, la creazione di un parco marino è stata fondamentale per la conservazione delle specie che qui vivono e si riproducono – una su tutte la foca monaca che, proprio nelle numerose grotte parzialmente sommerse, ha trovato spiagge appartate in cui riprodursi – ma anche per permettere a ricercatori e scienziati di scoprire di più su questa porzione di Mediterraneo. Dall’altro, però, ha contribuito a decimare la popolazione originaria di Marettimo che, anche a causa dei divieti imposti alla pesca, dal dopoguerra ad oggi è passata da oltre 2.000 unità a poco più di 200. “Così l’isola muore”, ci ha confidato un pescatore.

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Una veduta laterale del porticciolo dal centro abitato di Marettimo

Secondo Chimienti “a Marettimo c’è ancora terreno fertile per rendere questo posto un esempio di area protetta che funzioni a livello Mediterraneo, che si regga su un reale principio di convivenza tra uomo e mare. Un’area marina protetta non può e non deve limitarsi alla protezione, ma deve anche includere una dimensione di gestione sostenibile del capitale naturale e umano a disposizione. Ad esempio, per proteggere il corallo nero, che cresce in profondità, non ha senso impedire tutti i tipi di pesca, inclusi quelli che non interferiscono con il fondale. È solo con l’esplorazione che possiamo dare una mano a creare delle misure di tutela più stringenti in determinate zone strategiche e meno in altre, dove l’ancoraggio delle imbarcazioni o la pesca possono convivere con l’ecosistema“.

La lunga ricerca del corallo nero, non priva di sfide 

Ci sono volute diverse spedizioni di ricerca per riuscire ad individuare questo “fantasma” sommerso. La prima è avvenuta vicino alle coste di Favignana, nella secca di Muntifora come è chiamata dai pescatori locali, dove la presenza del corallo era in realtà cosa nota. L’attenzione si è poi rivolta verso Marettimo, vero obiettivo delle ricerche, dove le uscite sono state rese particolarmente complicate dalle condizioni meteo. Per scandagliare il fondale ben oltre i 60 metri – la quota di partenza nella ricerca del corallo nero di Marettimo – il team di Chimienti, fatto di biologi, scienziati, sommozzatori, fotografi e videomaker sottomarini, si è dotato di un Rov (remotely operated vehicle) capace di arrivare fino a diverse centinaia di metri di profondità e dotato di un braccio in grado di recuperare eventuali campioni.

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Una foto subacquee scattata dal team © Filippo Borghi

Le immersioni nelle acque di Marettimo sono durante circa due settimane, periodo nel quale il team si è spartito due aree di ricerca: i sommozzatori hanno esplorato aree meno profonde e relativamente vicine alla costa sul versante occidentale dell’isola, mentre un secondo team, dotato del Rov, si è concentrato sulle acque più profonde del versante orientale. Al termine delle due settimane, il gruppo di ricerca ha rivenuto una prima, piccola colonia di corallo nero. Un risultato importante, ma non delle dimensioni che Chimienti si immaginava: “Quei giorni non sono stati facili, ma ho proseguito nel mio obiettivo. Ho deciso di tornare a Marettimo per capire se oltre a quella piccola colonia potesse esserci, più in profondità, la foresta che tanto stavo cercando”.

Dopo sette mesi, Chimienti è tornato sull’isola e, grazie all’ausilio di tecnologie ancora più sofisticate, è riuscito a trovare una vera e propria foresta di corallo nero. “In quel momento ho provato una sensazione straordinaria. Avevo appena trovato un tesoro inestimabile, qualcosa di bellissimo che andava scoperto per poter essere protetto fino in fondo”, racconta.

Il documentario Il bianco nel blu

Quell'”ossessione”, in realtà virtuosa e carica di valore scientifico, che ha permesso a Chimienti e al suo team di raggiungere il corallo nero di Marettimo è raccontata nel documentario Il bianco nel blu, diretto da Igor D’India e presentato il 18 luglio al Marettimo Italian Film Fest. Per Chimienti era necessario rendere visibile a tutti, “soprattutto a coloro che chiamano Marettimo casa”, la ricchezza dei suoi ecosistemi e al contempo la loro fragilità, che solo grazie a chi ama quest’isola può trovare la forza di sopravvivere. Supportato dal Gruppo Prada, che da qualche anno ha iniziato un progetto di partenariato con la Commissione oceanografica intergovernativa dell’Unesco chiamatoSea Beyond, Chimienti ha ricevuto il sostegno necessario a compiere l’imponente sforzo di ricerca e divulgazione che ha colpito dritto nel segno buona parte degli abitanti, accorsi in una calda sera di luglio sul porticciolo di questo sperone di roccia che spunta dal mare.

Il supporto di Gruppo Prada e Unesco

“L’idea di creare un documentario risponde alla stessa necessità che collega tutte le attività del progetto Sea Beyond, ovvero lo sviluppo di una relazione più solida e consapevole tra gli esseri umani e il mare”, ci dice Francesca Santoro, senior officer di Ioc-Unesco. Sin dalla sua fondazione, il progetto ha fatto leva soprattutto sul valore dell’educazione al mare per le giovani generazioni, organizzando seminari di ocean literacy che potessero mostrare ai ragazzi il tesoro inestimabile che sta sotto il pelo dell’acqua. Gli sforzi di Sea Beyond in varie parti del mondo hanno portato all’avvio di un progetto a Venezia, L’asilo della laguna, che coinvolge 6 scuole di Venezia e 120 bambini tra i 3 e i 6 anni in programmi educativi a loro dedicati.

A rinforzare ulteriormente il partenariato ci ha pensato il Gruppo Prada solo qualche settimana fa, annunciando che destinerà l’1 per cento dei proventi della collezione Re-Nylon ai progetti di Sea Beyond. “Il nostro impegno economico per finanziare progetti che vadano nella direzione della protezione dei nostri mari aumenterà di molto rispetto a quanto fatto fino ad ora” ha spiegato a LifeGate Lorenzo Bertelli, head of corporate social responsibility del Gruppo Prada, a Marettimo per vedere quella che, anche per lui, è stata la prima del documentario. “La piattaforma di finanziamento a Sea Beyond è aperta, e a breve salirà a bordo anche Panerai con un altro progetto. Stiamo cercando di fare rete con altri brand per far crescere l’iniziativa”, continua Bertelli.

Il legame tra i progetti educativi e Re-Nylon affonda le radici nella storia del marchio. La collezione utilizza il materiale proveniente dalle reti da pesca recuperate in mare per creare nuovi prodotti in nylon, lanciato negli anni Ottanta e divenuto ben presto un elemento iconico del marchio. “Il successo che Re-Nylon continua a riscuotere ci conferma che oggi più che mai l’approccio dei consumatori a un prodotto è cambiato”, conclude Bertelli. “Nel raccontare un oggetto, non possiamo più permetterci di non includere l’impatto ambientale e sociale. E credo profondamente che, imparata questa lezione, il capitalismo possa rivelarsi un incredibile acceleratore di questa trasformazione. Dobbiamo essere bravi noi a ridefinire il paradigma del valore di ciò che produciamo e comunichiamo”.

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