
Per la prima volta nel 2025 si celebrano le più grandi fonti di acqua dolce del pianeta, che fronteggiano la sfida dei cambiamenti climatici.
Non solo le api rischiano grosso. Secondo notizie che giungono dagli Stati Uniti, anche i bombi, insetti imenotteri della stessa famiglia delle più note produttrici di miele, starebbero morendo a migliaia causando gravi danni alle coltivazioni. Per questo, un gruppo di ambientalisti della Xerces Society, un’organizzazione dell’Oregon che si occupa della salvaguardia degli invertebrati, ha
Non solo le api rischiano grosso. Secondo notizie che giungono dagli Stati Uniti, anche i bombi, insetti imenotteri della stessa famiglia delle più note produttrici di miele, starebbero morendo a migliaia causando gravi danni alle coltivazioni.
Per questo, un gruppo di ambientalisti della Xerces Society, un’organizzazione dell’Oregon che si occupa della salvaguardia degli invertebrati, ha intentato una causa contro il Dipartimento per la Pesca e la Conservazione della natura statunitense, chiedendo di inserire questi insetti nella lista delle specie in via d’estinzione.
I motivi della moria sarebbero da ascrivere sia alle malattie, trasmesse da specie di api non autoctone introdotte dai produttori di pomodori, sia alla distruzione degli habitat e all’utilizzo massiccio dei pesticidi.
I bombi, come le “cugine” api, giocano un ruolo molto rilevante nell’impollinazione di un numero elevato di piante, in particolare di ortaggi: perderli significherebbe perdere anche queste specie vegetali.
Gli ambientalisti della Xerces avevano già proposto al Dipartimento una petizione lo scorso anno, rimasta senza risposta.
L’azione dell’associazione avviene proprio mentre il Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti sta per pubblicare il suo rapporto annuale sulla moria delle api, in mezzo a un aspro dibattito sul ruolo dei pesticidi nella moria degli insetti impollinatori.
Siamo anche su WhatsApp. Segui il canale ufficiale LifeGate per restare aggiornata, aggiornato sulle ultime notizie e sulle nostre attività.
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.
Per la prima volta nel 2025 si celebrano le più grandi fonti di acqua dolce del pianeta, che fronteggiano la sfida dei cambiamenti climatici.
Un tribunale condanna Greenpeace a pagare 660 milioni di dollari. L’accusa? Aver difeso ambiente e diritti dei popoli nativi dal mega-oleodotto Dakota Access Pipeline.
In Italia sono 265 gli impianti ormai disuso perché non nevica più: rimangono scheletri e mostri di cemento. E l’esigenza di ripensare la montagna e il turismo.
Temendo la presenza di rifiuti tossici, la Groenlandia ha interrotto l’estrazione dell’uranio. Ora potrebbe essere costretta a ricominciare. O a pagare 11 miliardi di dollari.
L’organizzazione della Cop30 nella foresta amazzonica porta con sé varie opere infrastrutturali, tra cui una nuova – contestatissima – autostrada.
Incidente nel mare del Nord tra una petroliera e una nave cargo: fiamme e fumo a bordo, si teme lo sversamento di combustibile in mare.
Saudi Aramco, ExxonMobil, Shell, Eni: sono alcune delle “solite” responsabili delle emissioni di CO2 a livello globale.
A23a, l’iceberg più grande del mondo, si è fermato a 80 km dalla Georgia del Sud, dove ha iniziato a disgregarsi.
Una causa intimidatoria per fermare chi lotta per la difesa delle risorse naturali e contro le giganti del petrolio. È quanto sta vivendo Greenpeace per le proteste contro il Dakota access pipeline.