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Il conflitto che insanguina la Siria ha avuto un grave impatto anche sul bestiame. La Fao sta aiutando i contadini sfollati a mantenere in vita i propri animali.
Due anni fa il mondo di Um Yazan è andato in pezzi, letteralmente frantumato dalle bombe, e lei, suo marito e i loro sei figli sono dovuti fuggire, lasciando dietro di sé tutto, tranne qualche pecora. Proprio quelle pecore rappresentano una sorta di ponte tra passato e futuro, prima che la vita di Um Yazan fosse stravolta dalla guerra gli animali erano la principale fonte di sussistenza della famiglia e oggi, pur tra grandi difficoltà, è ancora così. “Non ci danno molto latte ma ci accontentiamo di quello che abbiamo”, ha affermato Um Yazan.
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Um Yazan viene da Mansoura, nel Ghouta orientale, a circa quindici chilometri dalla capitale della Siria, Damasco. Un’area che la guerra ha particolarmente devastato negli ultimi quattro anni. I siriani vivono in guerra da ormai sei anni e il conflitto ha provocato, secondo l’Osservatorio siriano dei diritti dell’uomo, 321mila morti, 145mila dispersi e quasi cinque milioni di profughi. Dall’inizio della guerra circa 4,9 milioni di siriani, stando ai dati dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati, sono stati costretti a fuggire dalla loro terra (per poi trovare magari filo spinato e ostilità).
La maggior parte dei profughi si è diretta verso la Turchia e il Libano, altri hanno trovato riparo in Giordania, Iraq ed Egitto. Qualcuno però è rimasto, con la speranza di poter un giorno riannodare quel filo con la propria esistenza che le bombe hanno spezzato. Um Yazan e la sua famiglia vivono ora in tende che hanno cucito loro stessi, in condizioni estremamente precarie. Non ci sono infrastrutture, non c’è elettricità, non c’è acqua. “Non c’è niente qui – ha detto sconsolata la donna. – Siamo arrivati qui da sfollati, siamo dovuti partire quando la nostra zona è stata attaccata”.
Nonostante l’assoluta precarietà in cui sono immersi, Yazan e i suoi familiari cercano di andare avanti e di tornare alle proprie occupazioni. “I miei figli e io stiamo cercando di lavorare per guadagnare un po’ di denaro – ha spiegato Um Yazan – a volte vendiamo della verdura e guadagniamo quanto basta per comprare un po’ di pane, olio e zucchero”.
Il conflitto in Siria ha avuto gravi conseguenze non solo sulle persone ma anche sugli animali. Negli ultimi anni il numero dei bovini è calato di oltre il 30 per cento mentre capre e pecore sono diminuite del 40 per cento. Prendersi cura del bestiame è diventato sempre più difficile e costoso, i servizi veterinari sono stati drasticamente ridotti e i programmi e le campagne di vaccinazione sono realizzabili solo nelle aree più sicure. Proprio la carenza di vaccini, a causa dei gravi danneggiamenti subiti dai centri di produzione dei vaccini, rappresenta uno dei problemi principali per gli allevatori siriani.
Dalla sopravvivenza del bestiame può dipendere anche quella delle persone che vivono nelle comunità rurali, proteggere gli animali superstiti è dunque fondamentale. Per questo la Fao e l’Associazione medico-veterinaria siriana hanno condotto all’inizio dell’anno una campagna sanitaria zootecnica per proteggere 1,3 milioni di pecore e capre e 65mila bovini. L’operazione è durata tre mesi e ha aiutato oltre 200mila proprietari di bestiame. “Il trattamento ha protetto i nostri animali dalle malattie – ha detto Um Yazan – grazie ai veterinari che li hanno curati. Ci hanno permesso di risparmiare denaro, non ci saremmo potuti permettere di pagare un veterinario”. Oggi come ieri Um Yazan continua a mungere le sue pecore e a prendersi cura di loro, sapendo che dipendono strettamente l’una dalle altre, con un unico pensiero che sembra non abbandonarla, nonostante tutto, “tornare ad una vita normale”.
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