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Il ministro dell’Ambiente francese ha per la prima ipotizzato un numero di reattori nucleari da chiudere. Ma il premier conservatore Edouard Philippe frena.
“Lasciatemi pianificare le cose, potremmo chiudere fino a 17 reattori nucleari”. La frase, pronunciata ai microfoni dell’emittente Rtl dal ministro dell’Ambiente francese, Nicolas Hulot, ha suscitato un ampio dibattito oltralpe. L’obiettivo dichiarato dal membro del governo guidato dal conservatore Edouard Philippe è di confermare gli impegni assunti dal vecchio presidente François Hollande attraverso la legge sulla transizione energetica. Ovvero far scendere la quota di energia prodotta con il nucleare, entro il 2025, al 50 per cento, contro l’attuale 76,3. Ma la domanda che tutti si sono posti è: sarà sufficiente il numero di chiusure annunciato?
In un rapporto della Corte dei conti del 2016, in realtà, veniva sottolineato che occorrerà arrivare fino a 20 reattori nucleari. Mentre uno studio effettuato dall’associazione ambientalista Greenpeace spiega che se si vorrà raggiungere l’obiettivo fissato dalla legge sarà necessario arrestarne tra 27 e 31.
Per comprendere la situazione basta in effetti un semplice calcolo. Il parco nucleare della Francia vanta ad oggi una potenza complessiva di 63,2 gigawatt ed è composto da 58 reattori nucleari, distribuiti in 19 centrali. Operare una riduzione dal 76,3 al 50 per cento significa dunque imporre un taglio di circa un terzo. Una ventina di reattori, dunque, potrebbero bastare sulla carta. Il problema però è che non tutti presentano la stessa potenza: ben 34 reattori (quelli più vecchi, avviati tra il 1977 ed il 1987) sono da 900 megawatt, 20 da 1.300 e solamente quattro (i più nuovi, ovvero Chooz B1 e B2, e Civauz 1 e 2) da 1.450.
Ciò significa che i primi pesano meno nel computo totale e, come osservato dal quotidiano Le Monde, “tenendo conto che, come è lecito supporre, saranno i reattori nucleari più vecchi i primi ad essere spenti, vorrà dire che probabilmente occorrerà chiuderne di più” rispetto a quanto annunciato da Hulot. Inoltre, alcuni dubbi sono stati sollevati anche rispetto al calendario: se si esclude la centrale nucleare più vecchia, quella di Fessenheim, che dovrebbe chiudere i battenti tra la fine del 2018 e l’inizio del 2019 (benché Hollande avesse promesso di farlo entro il 2016), gli altri stop non dovrebbero arrivare prima del 2022. Il che significa nel prossimo quinquennio presidenziale: a condizione perciò che chi sarà al governo confermerà la stessa linea.
Ma non è tutto: Hulot dovrà anche vincere probabili resistenze interne al governo di cui fa parte. Rispetto alle dichiarazioni del ministro dell’Ambiente, infatti, il premier Philippe ha già mostrato cautela: “Aspetteremo di conoscere le indicazioni dell’Autorità per la sicurezza nucleare e solo allora ci pronunceremo”, ha dichiarato al quotidiano Les Echos. E tali indicazioni potrebbero arrivare nel 2019.
Cyrille Cormier, responsabile energia e clima di Greenpeace Francia, ha spiegato al quotidiano 20Minutes che “per noi la quota di 17 reattori rappresenta una soglia minima, non un tetto massimo”. “La cifra è inferiore a quello che si potrebbe fare”, ha commentato inoltre Martial Château, dell’associazione Sortir du Nucléaire. Mentre l’economista Raphaël-Homayoun Boroumand, ha sottolineato che “manca una road map, siamo ancora agli annunci. Il tempo stringe perché siamo ad un bivio: o si sceglierà di aumentare la durata in servizio delle centrali nucleari, sapendo che l’età media dei reattori è già di oltre 30 anni, oppure si punterà con decisione sulle energie rinnovabili. Le due cose insieme non si potranno fare, perché ciò implicherebbe investimenti troppo importanti”.
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